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Maxi piano Sanità con il Mes. Perché è un’occasione imperdibile. Scrive Sacconi

Al di là della contesa sulla fonte di finanziamento, unanime è la volontà di un maxi-piano di investimenti sulla sanità italiana alla luce della esperienza maturata nella crisi pandemica.

Sarebbe tuttavia colpevole una destinazione delle ingenti risorse ipotizzate alle assunzioni di personale e alla rigenerazione delle strutture esistenti senza un preventivo programma di reingegnerizzazione e innovazione dell’intero sistema socio-sanitario, fondato in primo luogo su una infrastruttura tecnologica nazionale. Se da un punto di vista istituzionale sarà necessario un negoziato tra Stato e Regioni, questo non dovrà compromettere il carattere uniforme delle prestazioni essenziali e la interoperabilità di tutti i sistemi informativi in funzione anche del pieno impiego del fascicolo elettronico personale e di una contabilità definitivamente unificata. Pena il ricorso a commissariamenti, quanto meno ad acta, in cambio delle risorse aggiuntive.

Il federalismo si realizza attraverso le gestioni di prossimità, tenute tuttavia a rispettare criteri omogenei quali il corretto rapporto tra i macrolivelli di assistenza in ciascun perimetro. Ricordiamo che dalla riforma del federalismo fiscale tutti gli atti di pianificazione hanno ribadito che prevenzione, spedalità, servizi territoriali dovrebbero, rispettivamente, corrispondere al 5, 46 e 51% della spesa totale. Il sottofinanziamento non ha impedito ad alcune aree virtuose di ottenere questo equilibrio senza prelievo fiscale addizionale, dimostrando l’utilità della razionalizzazione della rete ospedaliera e della eliminazione (o quasi) dei ricoveri inappropriati. E proprio in queste aree, non a caso, vi era la maggiore presenza di letti di terapia intensiva all’inizio del contagio.

Il nuovo piano dovrebbe quindi, da un lato, disporre il finanziamento della nuova spedalità secondo un modello unitario che includa contenuti edilizi, tecnologici e prestazionali minimi conducendo alla sostituzione (e riduzione) delle strutture tradizionali, spesso al di sotto delle soglie stabilite dal DM 70 del 2015 e incoerenti con il programma nazionale degli esiti. E, dall’altro, sostenere lo sviluppo integrato dei servizi territoriali rinegoziando le responsabilità h 24 dei medici di famiglia, assegnando compiti ulteriori alle farmacie, rivalutando i servizi di igiene e salute pubblica, promuovendo con il concorso delle imprese la funzione prevenzionistica dei medici del lavoro, realizzando “case della salute” di prossimità, aumentando la componente sanitaria obbligatoria delle Rsa, valorizzando la cura e l’assistenza domiciliare anche attraverso prestazioni monetarie ai caregivers volontari.

Una tale riorganizzazione costituisce quindi il necessario presupposto per la individuazione dei profili professionali necessari e così integrare o riqualificare il personale esistente. Nondimeno, sarebbe colpevole buttare soldi nelle strutture obsolete e spesso frutto di scelte clientelari per loro natura dispersive. Una quota significativa delle risorse dovrà essere destinata alla ricerca e all’innovazione in termini di prodotti e processi. L’Italia, per varie e consolidate ragioni, ha le premesse per diventare sostenibilmente il primo hub europeo – e quindi uno dei primi al mondo – in questo ambito. Una robusta alleanza tra pubblici e privati, fondata su regole certe di lungo termine, può attrarre ulteriori investimenti esteri e porci nella condizione di partecipare ai grandi tavoli globali in cui saranno discusse le collaborazioni tra Stati e le nuove regolazioni dei mercati.


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