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Le premesse della politica e gli Stati generali. La riflessione di D’Ambrosio

Nel 1945 Giorgio La Pira diede alle stampe un libro dal titolo Premesse della politica e Architettura di uno Stato democratico. Il testo era il contributo di uno studioso a una comunità in fase di ricostruzione, bisognosa di indicazioni politiche quanto giuridiche, filosofiche quanto pratiche. Mi ha sempre colpito il fatto che tre quarti del libro – la prima parte sulle “Premesse” – siano dedicati a illustrare le più importanti visioni del mondo (Weltanschauung) e solo l’ultima parte, appena 50 pp., all’architettura dello Stato democratico, ovvero agli aspetti giuridici della Repubblica che si andava a costruire. Uno dei chiari esempi in cui l’indice e la distribuzione della materia parlano da sé: non si può architettare uno Stato se non si trae ispirazione da una visione di mondo. E a scriverlo era un giurista!

Il testo mi è venuto in mente proprio in questi giorni, in cui sono stati annunciati gli Stati generali dell’economia, visti come un passaggio importante per il rilancio dopo l’emergenza Covid-19. Forse andavano chiamati diversamente, visto che gli Stati generali presuppongono un lavoro un po’ più approfondito di preparazione. Cosa fatta capo ha. Va apprezzato, comunque, lo sforzo di riflettere, tutti insieme, nessuna parte sociale esclusa, su quello che sarà il futuro dal punto di vista sociale ed economico.

Il primo elemento che salta agli occhi è il problema del dialogo. Sono i partecipanti disposti a dialogare? E cosa vuol dire dialogare quando si vuole “ridisegnare” il Paese? Non possiamo qui dimenticare la lezione dell’Assemblea costituente. Tre tradizioni culturali e politiche – social-comunista, liberale e cristiana – si sono incontrate per definire i principi fondanti della nostra comunità nazionale e per far derivare da essi un’architettura di stato personalista e pluralista, come precisa La Pira. Alcuni protagonisti, della maggioranza come dell’opposizione, non hanno dato prova, finora, di volere un dialogo sereno e costruttivo. Non dialoga chi si contrappone o chi si crede detentore di verità assolute; ancor peggio chi ha doppi fini elettorali e di potere.

La Pira direbbe che esse, nel caso delle democrazie nate dopo la Seconda guerra mondiale, sono state capaci di incorporare movimenti di idee e persone nella struttura politica e di forgiare la stessa struttura politica, giuridica, economica e culturale degli Stati. In quest’opera è normale, e anche auspicabile riscontrare una differenza di tradizioni filosofiche e culturali. Essa non significa automaticamente, sul piano decisionale e politico, l’inconciliabilità delle varie posizioni. Il dialogo serve a superare la distanza delle posizioni. Serve a confermare quello che è fondante e costitutivo del nostro Paese e a rifiutare ciò che lo distrugge.

Tuttavia, per alcuni aspetti, il lavoro odierno è più facile di quello dei Costituenti. Gli Stati generali non devono scrivere una Costituzione, né incorporare o forgiare persone, movimenti e riferimenti etici. È tutto già incorporato, forgiato e mediato: si chiama Costituzione. Gli Stati generali, allora, hanno senso e significato, dal punto di vista etico, se sono lo sforzo di rinsaldare e attuare meglio quei principi costituzionali; non certo se sono fatti per stravolgerli. E tra i principi fondanti emerge la drammaticità dell’attuare sempre più la “solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2).

Ma qui emerge un altro problema: quello della preparazione culturale e della maturità etica della classe dirigente attuale, non solo politica, ma anche sociale, sindacale, imprenditoriale, culturale. È innegabile come le democrazie occidentali, negli ultimi decenni, siano attaccate da diversi tarli: liberismo sfrenato, distruzione del welfare, populismo, nazionalismo, corruzione, criminalità organizzata. La Pira chioserebbe: “Le radici ultime di questa crisi sono radici di pensiero: la crisi, prima di essere crisi politica ed economica, è crisi di idee”, che investe tutti, cittadini e leader.

Questi ultimi non sempre sono all’altezza della situazione. Lo scenario mondiale offre purtroppo diversi esempi: leader mediocri che affrontano complessità e urgenze inaudite.

Ma non è solo un problema di leader è un problema di gruppi che sostengono i leader. La storia insegna che leader non sempre all’altezza hanno avuto l’umiltà di farsi aiutare da persone capaci, che non si sono risparmiate nel collaborare, dialogare e mediare per disegnare scenari di alto profilo. Anche in questo l’Assemblea Costituente docet: chi aveva di più – in maturità, idee, principi etici e soluzioni – ha dato di più. Nel 1975 raccontando quell’esperienza La Pira ebbe a dire: “Noi eravamo un gruppetto e sapevamo dove arrivare: affermare i valori della persona, la sua architettura, il suo mondo interiore di libertà, l’atto mistico che la definisce”.

 



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