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La sanità parla digitale ma la politica italiana no. Ecco come colmare il gap

Nell’ultimo decennio, e ancor più con l’epidemia globale di Covd-19, l’urgenza di un più compiuto e coerente approccio alla digital health e dunque all’uso della telemedicina, dei big data e dell’intelligenza artificiale hanno conquistato ampio spazio nel dibattito sanitario. Nata nei primi anni Sessanta negli Usa per monitorare i parametri vitali degli astronauti nello spazio, la telemedicina in particolare garantisce oggi il sistematico e più agile svolgimento delle attività sanitarie anche in condizioni di emergenza. Secondo uno studio della School of management del Politecnico di Milano, il 75% dei medici ritiene che la telemedicina abbia avuto un ruolo determinante nella gestione della pandemia e oltre il 50% delle persone non addette ai lavori ritiene che questa possa aumentare l’efficienza dei processi e delle cure. Stessi risultati per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Secondo la maggior parte dei medici specialisti (il 60%), infatti, l’IA può giocare un ruolo determinante durante eventuali fasi di emergenza sanitaria ed è stata ampiamente adoperata per identificare in modo rapido i casi di polmonite interstiziale da Covid-19.

COS’È E COME FUNZIONA LA TELEMEDICINA

Ma cosa si intende per telemedicina e perché non è ancora capillarmente diffusa nei sistemi sanitari? Secondo la definizione dell’Oms, per telemedicina si intende “l’erogazione di servizi di cura ed assistenza, in situazioni in cui la distanza è un fattore critico, da parte di qualsiasi operatore sanitario attraverso l’impiego delle tecnologie informatiche e della comunicazione per lo scambio di informazioni utili alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione di malattie e traumi, alla ricerca e alla valutazione e per la formazione continua del personale sanitario, nell’interesse della salute dell’individuo e della comunità”. In sintesi, e in accordo con quanto definito dalla Food and drug admistration, si tratta dunque dell’offerta di cure sanitarie e di servizi di consulenza sanitaria al paziente e della trasmissione a distanza di informazioni sanitarie attraverso l’utilizzo delle tecnologie delle telecomunicazioni.

IL GAP NORMATIVO

A limitarne profondamente l’utilizzo, però, è ad oggi in primis la mancanza di una normativa specifica e strutturale che sia coordinata sul territorio nazionale. La telemedicina, infatti, è nella pratica già ampiamente utilizzata, ma mancando di una regolamentazione normativa incontra diversi ostacoli che minacciano sia il corretto e agile svolgimento della professione per i medici sia il benessere del paziente. Pur facendo parte della routine quotidiana degli specialisti, infatti, non essendo regolamentata la telemedicina non è soggetta a remunerazione, generando un improduttivo disincentivo della stessa. Tra l’altro, a dispetto dei timori spesso riservati all’applicazione del digitale nel mondo del lavoro, la telemedicina non va in alcun modo a erodere il rapporto fra medico e paziente ma, abbattendo le barriere fisiche, consente uno scambio costante di informazioni e accorcia le distanze fra i soggetti coinvolti.

I CASI VIRTUOSI: BESTA, SAN RAFFAELE E GEMELLI

Un caso su tutti, quello dei molti pazienti oncologici che hanno potuto seguire percorsi di follow-up con visite e consulti periodici virtuali anche durante l’emergenza pandemica. Presso l’Istituto neurologico Carlo Besta, poi, è stato utilizzato ad ampio spettro lo strumento della televisita per garantire un corretto svolgimento dei controlli per i pazienti già in cura e affetti da patologie rilevanti quali sclerosi multipla o parkinson. Attività proposta, tra l’altro, con buoni risultati, anche per i pazienti di neurologia infantile. Non dissimili le attività realizzate dall’Ospedale San Raffaele e dal Policlinico Gemelli che, attraverso piattaforme digitali, hanno consentito la prenotazione e lo svolgimento di visite a distanza e consulti medici oltre che lo scambio di documentazione e referti sanitari.

LE DELIBERE REGIONALI

Con lo scoppio dell’epidemia, tra l’altro, una serie di delibere regionali – Toscana e Veneto in particolar modo – hanno sbloccato in parte la situazione, normando le modalità di erogazione delle prestazioni di telemedicina, andando però di conseguenza ad allargare il già ampio divario fra sanità regionali e provocando un’ulteriore frammentazione ormai da anni vigente nel nostro sistema sanitario. Il ministero si è infatti limitato, pur compiendo un passo avanti, a pubblicare delle linee-guida per indicare l’utilizzo della telemedicina come modalità preferibile durante la crisi sanitaria per le visite ambulatoriali, ma dimentica di tenere conto, in parte, della costante e rapidissima evoluzione che accompagna la rivoluzione digitale. Di recente, però, e a testimonianza del ruolo-chiave che può giocare nella sanità, la telemedicina è stata menzionata nel piano Rilancio Italia di Colao, che auspica una revisione organica dei processi sanitari in un’ottica di sanità integrata, personalizzata e digitale al fine di sviluppare un vero e proprio “Ecosistema digitale salute”.

LA SANITÀ CHE FA BENE ALL’ECONOMIA

La rivoluzione della sanità digitale è dietro l’angolo, ma stenta a decollare e generare quei progressi che promette, non solo da un punto di vista meramente sanitario ma anche economico. Secondo recenti stime, infatti, la telemedicina ha un notevole impatto socioeconomico che si esplica non solo in un potenziale contenimento della spesa sanitaria, ma anche in un contributo significativo all’economia sanitaria, rappresentando uno strumento alternativo al classico percorso di urgenza e diagnostica, con lo scopo di garantire al paziente prestazioni sanitarie di alto livello ma al tempo stesso, consentire allo Stato di abbattere i costi di tali servizi.

TELEMONITORAGGIO DOMICILIARE

In particolare, volendo citare qualche numero, secondo un recentissimo report di Italian Health Policy Brief il telemonitoraggio domiciliare avviato nel 2009 presso il centro cardiologico Monzino di Milano su 1.500 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico (che prevedeva la registrazione e la trasmissione dei referti tramite dispositivi elettronici e un’assistenza telefonica e on-line continuativa), avrebbe generato una riduzione di circa 200 ricoveri per tutta la durata del progetto, che in termini economici equivale a un risparmio di circa 620mila euro. “Un tale progetto di ospedalizzazione domiciliare post-cardiochirurgica a livello regionale – spiega il documento – per esempio nella Regione Lombardia, in cui si registrano 1,3 milioni di dimissioni ospedaliere/annue di cui il 16% in seguito a patologie dell’apparato cardiocircolatorio, porterebbe a un potenziale risparmio di 20 milioni di euro/annui”.

UNO SGUARDO AL FUTURO

L’augurio degli operatori di settore è che il Paese riesca a cavalcare – e governare – la rivoluzione digitale anche nel settore sanitario, cogliendo tutte le opportunità che questa riesce ad offrire. Fondamentale in tal senso sarà la direzione che gli apparati legislativi decideranno di prendere, garantendo un’uniformità legislativa che consenta a un settore strategico come quello farmaceutico e sanitario di non rimanere impantanato nella burocrazia italiana.



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