Skip to main content

Il Patto sull’export è un passo avanti. Ma va completato. L’analisi di Zecchini

Dopo una buona performance nell’ultimo quinquennio, l’export italiano ha conosciuto nella prima parte dell’anno corrente una brusca battuta di arresto con il crollo di valori e volumi. Nell’ultima indagine l’Istat denuncia per il primo trimestre una caduta delle esportazioni (a prezzi costanti) dell’8% rispetto al mese precedente e del 7,5% sullo stesso mese del 2019, con un ulteriore peggioramento ad aprile.

La caduta dovrebbe raggiungere, secondo le sue stime, quasi il 14% per l’intero anno. Il fattore principale all’origine è la crisi sanitaria su scala mondiale, che ha interrotto il lungo periodo di recupero di competitività e quota del mercato mondiale in atto dal 2015. La performance negli ultimi anni era stata invero significativa perché avvenuta in un contesto di tensioni protezionistiche crescenti e di rallentamento del commercio mondiale.

È quindi positivo che di fronte a così inquietanti andamenti il governo abbia preso ultimamente l’iniziativa per rilanciare e sostenere la penetrazione dei prodotti italiani nei mercati esteri, pur consapevole delle difficoltà notevoli che si continueranno ad incontrare a causa dei bassi livelli di attività economica su scala mondiale e delle tendenze dei paesi a privilegiare i prodotti interni su quelli d’importazione.

Si tratta di un Patto con le categorie interessate che impegna il governo a mettere a disposizione nei prossimi anni risorse per 1,4 miliardi per attività di promozione, sostegno ed assistenza alle imprese esportatrici. Va precisato che il Patto è soltanto una cornice finanziaria che delinea le grandi direttrici di intervento e di allocazione delle risorse senza scendere nei particolari delle forme che questa azione potrà assumere, in quanto i contenuti saranno definiti a seguito di incontri settoriali con le rappresentanze di imprese in 12 tavoli settoriali.

Come cornice finanziaria, si raggruppano i vari strumenti finanziari esistenti, si aumenta la loro dotazione e se ne fissa la destinazione su sei filoni: rilancio dell’immagine del prodotto italiano (rebranding), formazione ed informazione, commercio digitale, sistema fieristico, promozione integrata e agevolazioni finanziarie.

Il programma non è una novità perché già col governo Renzi si era seguito un approccio integrato che aveva dato buoni frutti fino al 2019. Il nuovo Patto ne segue la traccia allargandone la dotazione, ma è ancora da riempire di contenuti, da sostanziare, ed anche da completare in alcuni punti che vanno portati all’attenzione. Il primo discende dalla tendenza degli ultimi anni alla concentrazione del contributo alla crescita delle esportazioni (in valore) in un limitato gruppo di imprese grandi (oltre 250 addetti), che arriva a fornire attorno al 47% del valore annuale, mentre si riduce l’apporto delle piccole nonostante il loro aumento di numero.

Quindi, se si vuole veramente accrescere l’orientamento verso i mercati esteri della maggioranza delle imprese, bisogna seguire una politica proattiva volta a raggiungere la massa di Pmi per stimolarle a proiettarsi sui mercati esteri con prodotti di qualità, in altri termini una politica di outreach. Una delle leve principali da impiegare a tale scopo consiste nel favorire un approccio a filiera, in cui le piccole seguono la grande impresa che ha già stabilito avamposti all’estero e ha esperienza nella partecipazione a gare internazionali.

In alternativa, operare con aggregazioni di Pmi con una capofila, seguendo l’esempio di successo dei distretti industriali. In queste operazioni è sempre fruttuosa l’assistenza pubblica nella formazione degli addetti al marketing all’estero, come nel facilitare la trasmissione di informazioni sulle caratteristiche dei mercati stranieri e delle loro norme.

L’attenzione per le Pmi non deve far dimenticare l’importanza del sostegno pubblico alle grandi imprese, che deve avere forme diverse da quelle adatte per le prime: il sostegno in questi casi consiste nel patrocinare presso le autorità straniere la partecipazione italiana ai grandi progetti, accompagnandola con l’offerta di finanziamenti e garanzie a condizioni paragonabili o migliori di quelle dei maggiori concorrenti di altri paesi.

Il sostegno va esteso anche alla tutela di prodotti e marchi dalle contraffazioni all’estero, che richiede conoscenza delle complesse procedure in vigore altrove e stimolo agli altri paesi ad adottare norme efficaci anticontraffazione. Al tempo stesso bisogna contrastare il fenomeno nel nostro Paese, in quanto è uno dei centri della contraffazione mondiale, e va repressa anche l’adulterazione di prodotti tipici dell’alimentare italiano perché arreca grande danno alla loro immagine all’estero.

Altri due punti che meritano più attenzione sono l’esportazione di prodotti della conoscenza e di quelli della digitalizzazione. I diritti di proprietà intellettuale, o “industriale” in termini tecnici, vanno non solo difesi ma promossi all’estero. Il Paese ha un vasto patrimonio di brevetti, marchi e disegni che sono occasione per esportazioni di tipo immateriale, al pari delle applicazioni software che rappresentano un mercato in grande espansione. Gioverebbero pure accordi di cooperazione con l’estero nella ricerca e nelle nuove tecnologie.

Le esportazioni immateriali sono un capitolo nuovo dell’era della digitalizzazione e richiedono un approccio ad hoc ad opera di specialisti. La creazione prevista di un nuovo portale dovrebbe essere l’occasione per andare oltre i metodi tradizionali per il Made in Italy ed avanzare nelle tecniche di marketing sull’estero, che sono attualmente in grande evoluzione con l’avvento delle comunicazioni digitali. Qui è elevato il rischio di un altro flop, come si è visto con i vari portali creati dal soggetto pubblico negli ultimi venti anni per promuovere l’export.

In questo compito come per gli altri interventi compresi nel Patto il nodo cruciale sta nella fase di attuazione: più volte in passato si è visto che programmi ambiziosi in questi campi sono naufragati per la loro disorganicità, o lacunosità, o per la difficoltà di raggiungere un gran numero di imprese, o per le pastoie ed inefficienze burocratiche. Questa volta il salto di qualità sta proprio nel coinvolgere direttamente le imprese nell’esecuzione del programma e renderle corresponsabili del suo successo. Questa intensa partecipazione è essenziale per integrare, aggiustare e dare efficacia al programma lanciato.



×

Iscriviti alla newsletter