“Certo è che Guardini non ha eretto un’architettura vana ai margini della storia, ma ha costruito ricoveri per intere generazioni, facendo di esse i baluardi contro il deserto dilagante, ed è certo che la sua casa sta sulla roccia, che il suo stile ci piaccia o meno. Chi ha realmente conosciuto il suo spirito, anche se ora si accinge a proseguire, gli serberà profonda riconoscenza”.
Così si esprimeva sul conto del suo maestro colui che e stato definito “l’uomo più sapiente del mondo”, Hans Urs Von Balthasar, dopo essere stato nominato cardinale da Giovanni Paolo II.
Romano Guardini, che morì a Monaco di Baviera il primo ottobre 1968, ci ha lasciato infatti una produzione vastissima che spazia dalla filosofia alla teologia, dalla pedagogia alla letteratura, dalla liturgia alla sociologia, dalla poesia alla filosofia della storia.
Guardini, sacerdote e docente universitario, nacque a Verona il 7 febbraio 1885, ma subito, per ragioni di lavoro del padre, commerciante e console italiano a Magonza, si trasferì in Germania, ove intraprese gli studi, prima al ginnasio poi all’università.
A vent’anni iniziò a studiare teologia a Friburgo ed a Tubinga e nel 1911 ricevette l’ordinazione sacerdotale.
Da questo periodo iniziò ad essere in contatto con la gioventù del suo tempo, prima come assistente di un’associazione di Mangonza, Juventus, e poi come membro e leader del movimento giovanile tedesco cattolico, Quickborn.
Erano gli anni, quelli dopo la prima guerra mondiale, dello scoramento e del disorientamento e la sensazione che si fosse giunti alla fine di un ciclo ed al definitivo “tramonto dell’Occidente”, (prefigurato e descritto da Oswald Spengler nella sua omonima opera), era ampiamente diffusa tra le giovani generazioni tedesche che, per tale motivo, erano alla ricerca di punti di riferimento e di guide spirituali.
LA CONCEZIONE DEL MONDO
E Guardini, che nel 1915 aveva conseguito il dottorato e nel 1922 era stato nominato libero docente di teologia dommatica, diventò ben presto l’autorità morale, a cui facevano capo e riferimento vasti settori giovanili, non solamente cattolici, e fu riconosciuto subito come la personalità accademica più apprezzata della cultura cattolica, tanto che nel 1923 fu istituita per lui “ad personam”, presso l’università di Berlino, la cattedra di Filosofia della religione e Weltanschauung cattolica, unica del suo genere in Germania e nel mondo.
“Nella mia prima lezione ‑ racconta il professore per spiegare cosa fosse questa nuova materia – definii la Weltanschauung cristiana come lo sguardo che diviene possibile a partire dalla fede sulla realtà del mondo e la dottrina della Weltanschauung poi la ricerca teoretica dei suoi presupposti e del suo contenuto”.
Iniziò proprio in questo periodo la grande produzione del pensatore cattolico che continuerà a scrivere ed a tener conferenze fino agli ultimi anni della sua vita.
Sale al potere il Nazionalsocialismo ‑ siamo nel 1933 ‑ che, pur introducendo restrizioni e limitazioni di certe libertà personali, consente al professore di esercitare il suo ministero e di continuare a svolgere regolarmente le sue lezioni all’università ed a ricevere ogni estate nel castello di Rothenfelds sul Meno i sempre più numerosi studenti che partecipano alle sue “settimane di lavoro”.
Solo allo scoppio della guerra fu privato della sua cattedra all’università, ma Egli insistette nel suo impegno, insegnando attraverso la Katholische Bildungswerk e tenendo nella chiesa dei gesuiti di Berlino i suoi famosi sermoni ad ogni secondo martedì del mese seguiti da centinaia e centinaia di ascoltatori.
Bisognerà, perciò, aspettare la fine del conflitto per vedere il Nostro reintegrato nella cattedra presso l’università di Tubinga, ove resterà fino al 1948 per passare in seguito a Monaco, presso la quale resterà fino a quando lo raggiungerà la morte, non senza ricevere prima altissimi riconoscimenti come la laurea Honoris causa dell’Università di Friburgo, il premio Erasmo e la qualifica di professore emerito, oltre al premio della pace degli scrittori tedeschi e la nomina a monsignore.
Anche in quel secondo dopoguerra i giovani cercavano ancoraggi ideali e maestri da ascoltare e seguire che, puntualmente, trovarono in Guardini.
Sensibile ad un’educazione di tipo europeo ‑ ne è testimonianza l’assegnazione ne1962 del Premio Erasmo, il più prestigioso riconoscimento nel campo dell’educazione ‑ espressione, del resto, della sintesi personale che egli stesso aveva realizzato tra romanità e germanesimo, il Maestro, anche nell’indicare le fondamenta per una nuova teoria pedagogica parte da una rigorosa analisi dell’epoca moderna e dei suoi fenomeni degenerativi derivanti principalmente dalla rottura dell’unità politica, culturale religiosa e di pensiero che si era realizzata fino a tutto il medioevo e con il Rinascimento era incominciata a frantumarsi.
E così anche la pedagogia contemporanea aspira alla sua autonomia, senza comprendere che è proprio per aver preteso di essere autosufficiente, a partire dal tipo di formazione proposta dall’umanesimo rinascimentale, l’educazione è entrata in crisi.
I l problema della formazione, dice Guardini, è strettamente legato con il più profondo contesto religioso, filosofico, psicologico e della Weltanschauung e non può prescindere dalla presenza di Dio, di un Dio che è entrato nella storia e che ha offerto se stesso come insegnante e come Via, Verità e Vita.
Fino ad oggi secondo Guardini persino le accezioni che sono state attribuite al concetto di formazione sono risultate inadeguate: per alcuni, infatti, è stato solamente sinonimo di sapere, per cui ben educato sarebbe colui che conosce tutto ciò che lo circonda, per altri formazione ha significato modellazione dell’agire e del volere, creazione del carattere, per altri, ancora, formazione è equivalso alla salute dell’uomo intesa in senso generale.
Un contadino attaccato alla propria terra, che vive in connessione con i cicli della natura, un marinaio profondamente radicato nel proprio ambiente marino, un imprenditore che sente la sua impresa come risultato della sua mente organizzatrice, un atleta che sfida ogni giorno i suoi limiti, ciascuno ha una propria, irripetibile, personale “forma vivente” che è “il volto autentico, l’immagine integrale delle sue determinazioni essenziali. Vivente forma di essere, in quanto rappresenta la struttura della sua concreta esistenza”.
Questa forma vivente presenta caratteri diversi a partire dal mondo minerale, attraverso quello vegetale ed animale, per arrivare all’uomo.
Per Guardini, quindi, la pedagogia è la scienza che studia quale sia la forma vivente dell’uomo in genere, quale quella dell’uomo di oggi e delle comunità nelle quali vive e si esprime, come si realizza il processo di formazione, quali sono i processi costitutivi dell’educazione e quali le mete da raggiungere nell’ambito di una Weltanschauung cristiana.
Ma Guardini non si limita a questa attività educativa.
Non ci è possibile, evidentemente, in questa sede, esaminare e nemmeno tentare di illustrare tutti gli aspetti più significativi dell’opera guardiniana che, come si diceva, spazia in tutti i settori della cultura ed in tutti gli ambiti del cattolicesimo, per cui cercheremo solamente di mettere in evidenza le linee generali della sua concezione del mondo e della vita che ci pare essere la chiave di volta di tutta la sua lunga elaborazione dottrinale e di tutto il suo sistema di pensiero.
Guardini, per l’appunto, è un vero e proprio pioniere in questo campo ‑ da ciò le incomprensioni che dovette subire nel corso della sua vita ‑ che per la prima volta si accinge a creare una dottrina della Weltanschauung cattolica, teoreticamente fondata e scientificamente impostata.
Guardini partiva, nell’impostare tutto il suo ragionamento, dalla constatazione, che del resto aveva in comune con tutti i cosiddetti filosofi della crisi che erano fioriti dopo la prima guerra mondiale, che il vecchio mondo ormai era tramontato e che quello nuovo caratterizzato dall’astrattezza e dall’artificialità, dallo scientismo e dal tecnologismo, aveva bisogno per essere compreso, guidato ed orientato di un nuovo tipo di uomo, che, però, non si intravedeva ancora all’orizzonte della storia.
Ma la novità dell’analisi guardiniana sta nel fatto che questa analisi, diciamo così pessimistica, dello stato dell’umanità, veniva proposta, a differenza di tutti i pensatori della crisi, anche dopo la seconda guerra mondiale, negli anni Cinquanta, con libri come La fine dell’epoca moderna. Il potere, quando la cultura ufficiale imperante riteneva che con la scomparsa del fascismo e del nazionalsocialismo tutti i problemi fossero stati finalmente risolti e ci si sarebbe avviati verso una stagione di prosperità e di pace nella quale tutti gli uomini sarebbero stati liberi e non vi sarebbero state più divisioni ideologiche, culturali e religiose, perché valori cristiani ed idealità laiche, agnosticismo e nichilismo, ateismo e libero pensiero si sarebbero fusi in un crogiuolo di vago umanitarismo indifferenziato e di sentimentalismo spicciolo.
L’ETICA LAICA
Invece, la religione cristiana, staccata dalla propria fonte viva e vitale, si andava inaridendo e l’etica laica era sfociata nel nichilismo scettico più disperato, per cui la china era diventata sempre più ripida e ci si stava avviando verso una società massificata ed omologata ove l’uomo non ha più un volto e Dio è scomparso del tutto dal!a nostra vita e dalla società della quale facciamo parte.
E così Guardini “l’inattuale” nell’immediato ultimo dopoguerra, isolato dalle dominanti correnti di pensiero anche cristiano, diventa oggi quantomai attuale in particolar modo per tutta quella parte della sua elaborazione che riguarda l’analisi della situazione nella quale versa attualmente il cristianesimo ed il ruolo che in tale situazione avranno o potranno avere i cristiani.
“E’ chiaro ‑ scrive Gardini in La teologia del mondo ‑ che un Cristianesimo estenuato e secolarizzato non ha valore. Poteva sembrare che lo avesse, quando il mondo era dominato dal relativismo e liberalismo. Oggi è evidente, che soltanto una coscienza coerente di fede può opporsi alla volontà ateistica sempre più forte”.