Dopo quattro giorni e 100 ore di trattativa è stato raggiunto un accordo al Consiglio europeo. L’intesa sul Recovery fund e sul prossimo ciclo del bilancio europeo 2021-2027 è stata annunciata da un tweet del presidente del Consiglio Ue Charles Michel (“Deal!”) alle 5,31. Ridefinita l’entità del fondo per il soccorso dell’economia europea post pandemia. L’entità complessiva del piano: 750 miliardi di euro è confermata, ma cresce la quota di prestiti (360 miliardi) rispetto ai sussidi (390 miliardi di euro). Il piano sarà collegato al nuovo quadro finanziario pluriennale da 1.074 milioni in sette anni.
Sull’entità del piano hanno vinto i frugali. La coalizione composta da Olanda e Austria, Danimarca, Svezia ai quali in questi giorni si è aggiunta la Finlandia, ha abbattuto prima il muro dei 500 miliardi della proposta franco tedesca, poi i 400 miliardi che il presidente francese Emanuel Macron (e anche il governo italiano) considerava un limite invalicabile. Compromesso accettabile anche per Parigi, visto che Macron ha salutato l’intesa come un “giorno storico per l’Europa”.
All’Italia va la parte più consistente del piano: 209 miliardi, 127 in prestiti e 81,4 come finanziamenti a fondo perduto. Erogazione di fondi senza precedenti, che fa perdere all’Italia per la prima volta dagli anni Novanta lo status di contributore netto.
L’altro tema di interesse italiano è quello sulla governance. Il compromesso del piano prevede che se uno o più stati membri dell’Ue rileveranno delle “gravi deviazione” dagli obiettivi europei potranno richiedere al presidente del Consiglio europeo di portare il tema alla successiva plenaria. La decisione su un eventuale blocco dei fondi spetta alla Commissione, sentito il Comitato economico e finanziario, cioè l’organismo formato dai tecnici dei ministeri delle Finanze dell’Unione, che avrà tre mesi di tempo per pronunciarsi. In sostanza la parte più importante del processo agli stati che dovessero usare male i fondi europei o non rispettare gli altri requisiti, torna alla Commissione europea e non al Consiglio, organismo che rappresenta gli stati.
“Non avrei concesso a nessun Paese il diritto di veto o di intromissione – ha commentato il premier Giuseppe Conte – è giusto che ci sia un sistema di verifiche ed è giusto che sia stato concepito in relazione all’avanzamento dei progetti, all’implementazione degli stessi. Ma certo era una pretesa inaccettabile che un singolo Paese potesse decidere fino al veto dell’erogazione dei fondi ed esercitare poteri di intromissione fino a questo punto”.
Resta quindi la possibilità per un Paese di azionare il famoso freno di emergenza, ma “certo non c’è per nessun Paese la possibilità di invadere le competenze della Commissione nella fase attuativa del piano. Sono competenze specifiche e tutta la procedura rimane nella competenza della commissione”, ha spiegato Conte. La trattativa dell’Italia su questo punto si è giocata sul filo dei trattati europei, cercando di smontare le tesi dei frugali in punta di diritto mettendo in discussione anche alcuni aspetti della proposta di Michel. Episodio che dovrebbe rafforzare la posizione dell’Italia nella Commissione Ue.
Fa parte del compromesso una riduzione dei capitoli di bilancio dedicati alla crescita sostenibile e un allentamento dei vincoli sullo stato di diritto, (nelle conclusioni c’è solo un passaggio nel quale si sostiene che il Consiglio europeo “sottolinea l’importanza del rispetto dello stato di diritto”) così come chiedevano gli stati dell’Est.
La principale vittoria dei “frugali” riguarda i rebates, cioè i rimborsi a favore di alcuni stati. Alla Danimarca vanno 377 milioni di euro (a fronte dei 197 milioni della prima proposta di Michel), all’Austria 565 milioni (raddoppiando i precedenti 237 milioni), alla Svezia circa un miliardo (prima erano 798 milioni), ai Paesi Bassi 1,9 miliardi (1,5 miliardi nella proposta precedente) e alla Germania 3,67 miliardi (senza alcun incremento rispetto alle precedenti bozze). Il conto del compromesso, insomma, lo pagano i tedeschi.