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L’Europa reagisca ai paradisi fiscali. Il graffio dell’Antitrust

L’Europa si guardi allo specchio, c’è chi si arricchisce alle spalle di altri Paesi. Sono i paradisi fiscali, come l’Olanda, l’Irlanda e il Lussemburgo. Nazioni che come una calamita attirano le sedi fiscali di tante aziende, dalla major alla piccola impresa, spolpando i sistemi produttivi e svuotando le casse pubbliche. Il presidente dell’Antitrust, l’Autorità di vigilanza sul mercato, Roberto Rustichelli, questa mattina alla Camera è stato chiaro in audizione alla Camera.

COLPE D’EUROPA

“L’attuale quadro normativo dell’Unione europea determina una disparità di condizioni concorrenziali nel mercato tra Stati membri e operatori, in quanto, da un lato, favorisce il dumping fiscale e contributivo tra Paesi e, dall’altro, è inadeguato a garantire una tassazione efficace ed equa dell’economia digitale”, ha attaccato Rustichelli. “Del resto, i problemi della concorrenza fiscale sleale sono sempre più al centro del dibattito economico e politico nell’Unione europea. L’esperienza, unica nella storia del nostro continente, di un’unione monetaria accompagnata da una crescente integrazione dei mercati reali e finanziari è sempre più incrinata dall’assenza di stringenti regole comuni fiscali e contributive”.

BASTA COI PARADISI FISCALI

Secondo l’Antitrust, “tale vuoto normativo rende possibile ad alcuni Stati membri di porre in essere pratiche di dumping fiscale e contributivo, che possono minare le fondamenta della stessa costruzione europea. Paesi come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali nell’area euro, che attuano pratiche fiscali aggressive che danneggiano le economie degli altri Stati membri e che, anche grazie a queste pratiche, registrano elevatissimi tassi di crescita”.

ATTACCO AL PIL (ITALIANO)

“Ne è prova”, ha detto il numero uno di Piazza Verdi, “la circostanza che nell’ultimo quinquennio il Pil italiano è cresciuto solo del 5%, mentre il Pil dell’Irlanda è cresciuto del 60%, quello del Lussemburgo del 17% e quello dell’Olanda del 12%. Altrettanto significativi risultano i dati relativi al reddito pro-capite nei diversi paesi. A fronte di un reddito pro-capite nel 2019 in Italia pari a euro 28.860, si registra in Lussemburgo un reddito pro capite di 83.640, in Irlanda di 60.350 e in Olanda di euro 41.8701”.

GIUSTIZIA FISCALE CERCASI

Tuttavia, né il Codice di Condotta né le norme sugli aiuti di Stato dell’Ue hanno limitato in misura significativa la capacità dei Paesi di utilizzare il proprio sistema fiscale come leva competitiva sleale, con effetti negativi sull’economia e sulla coesione dell’Unione europea nel suo complesso.
“Come ho già avuto modo di rilevare in passato, la concorrenza fiscale sleale genera evidenti vantaggi per taluni Paesi: il Lussemburgo, paese di circa 600 mila abitanti, è in grado di raccogliere imposte sulle società pari al 4,5% del Pil, a fronte del 2% dell’Italia”. Anche l’Irlanda (2,7%) fa meglio dell’Italia, nonostante un’aliquota particolarmente bassa, che è, però, in grado di attrarre imprese altamente profittevoli con un margine operativo lordo mediamente pari al 69,4% del valore aggiunto prodotto. Gli investimenti internazionali si adattano alla geografia della concorrenza fiscale: l’Italia attira investimenti esteri diretti pari al 19% del Pil, il Lussemburgo pari a oltre il 5.760%, l’Olanda al 535% e l’Irlanda al 311%”.

CHI VINCE (E CHI PERDE)

Ma se alcuni Paesi ci guadagnano, è l’Unione europea a perderci, visto che le multinazionali reagiscono alla concorrenza fiscale, localizzando le loro sedi proprio nei Paesi europei con una tassazione più favorevole. Ciò drena risorse dagli Stati in cui il valore è effettivamente prodotto.
“Alcune ricerche”, ha concluso Rustichelli, “stimano che, a causa della concorrenza fiscale sleale a livello europeo, il fisco italiano perde la possibilità di tassare oltre 23 miliardi di dollari di profitti: 11 miliardi di profitti vengono spostati in Lussemburgo, oltre 6 miliardi in Irlanda, 3,5 miliardi in Olanda e oltre 2 miliardi in Belgio”.

E “ciò comporta un danno per l’Italia che può essere stimato tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l’anno. Infine, non si può tacere che Irlanda, Olanda e Lussemburgo raccolgono circa 270 miliardi di dollari di profitti “sviati”, e che tali paradisi fiscali non si fanno neppure carico, non avendo sul proprio territorio gli opifici industriali delle società che hanno ivi spostato la propria sede fiscale, dei costi degli ammortizzatori sociali. Si tratta di un fenomeno che assume un ulteriore risvolto problematico nel caso dei Paesi che affiancano a tali pratiche fiscali sleali la pretesa di uno stretto rigore di bilancio da Paesi dai quali drenano risorse”.

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