Formiche.net lo anticipò circa un anno fa: prima o poi, si sarebbe arrivati alla resa dei conti in materia del pasticcio tra assistenza e previdenza in cui ci si è imbrogliati affidando il “reddito di cittadinanza” all’Inps ed il collocamento dei percettori di tale “reddito” all’Anpal (Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro).
I due enti hanno oggi l’onore delle cronache: l’Inps perché, in crisi di sovraccarico non riesce a fare arrivare la cassa integrazione a chi ne ha diritto ma ha concesso il “reddito” a mafiosi, lenoni, prostitute ecc.; l’Anpal per le bizzarrie del suo presidente, importato dal Mississippi, dove mantiene un lavoro e la famiglia, e, mentre i “navigator” da lui inventati e richiesti non fanno nulla, a spese dello Stato, trasvola l’Atlantico in classe turistica, affitta un appartamento di lusso a Roma, e circola in auto di lusso con autista.
Le vicende Anpal appaiono ormai nelle cronache giudiziarie e sta alla magistratura fare il suo corso. Le vicende Inps sono invece nelle cronache politiche e si spera che, prima o poi, l’Istituto riprenda a funzionare come dovrebbe. Nel contempo, però, il “dossier” sta avvelenando i rapporti all’interno della maggioranza, tra Pd e M5S. Le nomine alla guida di Anpal e Inps sono state fatte da Luigi Di Maio quando vestiva, tra le tante, anche la giacca di ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale.
Sembra si tratti di suoi amici personali. Il presidente dell’Inps si considera, a torto o a ragione, come il teorico del “reddito di cittadinanza”. Quello dell’Anpal come l’inventore di una “app” per smartphone che, al costo di 25 milioni di euro, può fare tutti gli “incroci” possibili tra domanda ed offerta di lavoro; in due anni, “l’app” non esiste, i “navigator” non hanno nulla da fare, la struttura è in rivolta, la Corte dii Conti freme e la Procura si impensierisce. Il Pd evidenzia preoccupazioni per la imbrogliata situazione e suggerisce che il presidente Inps torni a Via Silvio D’Amico 77 (sede della facoltà di Economia dell’Università di Roma 3) e che il presidente dell’Anpal vada per sempre in Mississippi. Il ministro del Lavoro, la pentastellata Nunzia Catalfo, vorrebbe, in cuor suo, la stessa cosa, ma dalla Farnesina l’ex capo politico del M5S tuona che i suoi nominati non si toccano.
Sin qui le cronache. Ma c’è molto di più come rivela un articolo di Chiara Gribaudo e Tommaso Nannicini sull’ultimo numero di Mondoperaio che riecheggia la proposta lanciata un anno fa da Formiche.net: separare nettamente assistenza da previdenza. Il “dossier” sarà tra quelli che finiranno nei “vertici di maggioranza” e in un prossimo Consiglio dei ministri.
Dal 1989 tale separazione esiste ma è solo contabile dato che il maggior ente erogatore è l’Inps. Da tempo sostengo la necessità della separazione tra previdenza (finanziata dai contributi dei lavoratori e loro datori di lavoro) ed assistenza (finanziata dalla fiscalità generale). Ciò è tanto più necessario in un sistema contributivo (pur se a ripartizione) in cui gli assegni previdenziali sono funzione del montante accumulato durante gli anni di lavoro. L’Inps deve essere una vera ed efficiente “fabbrica delle pensioni” e null’altro.
In effetti, in quasi tutto il resto del mondo, la separazione è non solo contabile ma pure istituzionale dato che la previdenza richiede un ente centralizzato per incassare contributi e versare prestazioni, mentre l’assistenza, in base al principio di sussidiarietà, deve essere il più vicino possibile ai poveri ed agli indigenti sia per individuarli sulla base di conoscenza diretta (non di autodichiarazioni come quelle inventate per il “reddito di cittadinanza”) sia per definire i servizi di cui ciascun povero/a ha necessità. L’invecchiamento della popolazione “povera” rende questo problema più acuto perché il povero anziano ha esigenza soprattutto di essere accompagnato ai luoghi di cura medica, a fare la spesa essenziale e via discorrendo.
Le risorse destinate al “reddito di cittadinanza” (con il suo folkoristico contorno di “app”, navigator, Mississipi e quant’altro) inciderebbero molto meglio sulla lotta alla povertà se un ente distinto dall’Inps e vigilato dai ministeri dell’Economia e delle Finanze, del Lavoro e dell’Interno, le incanalasse verso i servizi sociali dei comuni (l’istituzione più prossima dove si avverte il bisogno) sulla base di attente analisi e ne vigilasse l’uso. Si possono prendere a modello vari “fondi” esistenti.
Ciò non solo eliminerebbe l’attuale confusione tra assistenza e previdenza ma renderebbe il nostro sistema istituzionale simile a quello degli altri Paesi industrializzati ad economia di mercato ed allineerebbe agli altri anche le nostre statistiche.