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Il mercato del lavoro oltre lo smart working. Parla Ramazza (Assolavoro)

Nulla sarà più come prima, ma non per questo sarà necessariamente peggio. Il mercato italiano del lavoro vive i suoi giorni più difficili, alle prese con una crisi che ha attaccato il tessuto economico alla radice. Il cambiamento è in atto e coinvolgerà tutti gli strati di un mercato tra i più complessi. Per questo, dice a Formiche.net Alessandro Ramazza, presidente di Assolavoro, l’associazione delle agenzie del lavoro rappresentativa dell’85% del settore, sarà bene che la politica assecondi e soprattutto comprenda il grande mutamento in essere. Non basta mantenere gli attuali posti di lavoro, sempre che ci si riesca, bisogna crearne di nuovi, per garantire al Paese quella ripresa in grado di compensare l’enorme perdita di Pil del 2020.

Presidente Ramazza, la pandemia sta cambiando il Paese. Anche il mercato del lavoro non farà eccezioni, immagino.

Il mercato del lavoro sta cambiando in diverse direzioni. Tanto per cominciare cambiano i profili professionali e le competenze richieste, tra cui spicca un aumento delle richieste per competenze digitali e informatiche, in tutte le loro possibili declinazione, dunque possono essere profili che evolvono con componenti digitali importanti. Ovviamente una spinta a questo deriva dal grande uso di telelavoro o smart working che stiamo sperimentando in questo periodo. Questo è un cambiamento essenziale e trasversale allo stesso tempo.

Ci sono altri elementi di cambiamento?

Sì, ce ne è un secondo. E cioè quello che proviene dai settori che sono legati più direttamente agli effetti della pandemia. Penso al settore farmaceutico, che in Italia è un’eccellenza. E in generale tutto il settore sanitario e dell’assistenza. Aggiungo: quello che viene annunciato oggi a livello nazionale, ovvero di un sistema sanitario che ritorni ai territori, incontrerà una domanda sempre più crescente.

Lei è convinto, come molti, che il mercato del lavoro all’indomani del Covid-19 sarà molto diverso da prima?

Vedo troppa enfasi su questo cambiamento, un’enfasi che rischia di essere fuorviante. Ma certo il mercato dopo la pandemia sarà diverso, per quanto concerne la digitalizzazione, la possibilità di lavorare a distanza e l’informatica. Tutti questi elementi, portati dal lockdown, esploderanno ma molti altri profili invece rimarranno tutto sommato simili. Certamente stiamo assistendo al tracollo di alcuni settori specifici.

Per esempio?

La ristorazione, il turismo e anche il commercio. Ecco, qui bisognerà capire che tipo di impatto strutturale ci sarà.

Non ci dimentichiamo che tra qualche settimana, sempre che il governo non intervenga prima, cadrà il divieto di licenziamento da parte delle imprese…

Ecco, questo è un aspetto centrale, di carattere sociale e meno legato ai profili. Un problema molto serio, che mi pare sottovalutato. Onestamente mi aspetterei dal governo dei provvedimenti che creano lavoro, riprendendo per esempio Industria 4.0 o facendo leva sulla strategia europea del Green new deal. Perché se non si creano posti di lavoro ci ritroveremo con posti di lavoro in meno, quando sarà finita la spinta degli ammortizzatori sociali. L’unica vera risposta alla crisi è la creazione di posti di lavoro nuovi.

E lei Ramazza percepisce questo sforzo da parte del governo?

Trovo che il governo stia facendo molto per mantenere i posti di lavoro, ma non per crearne di nuovi. Credo che mantenere posti di lavoro sia importante, ma non tutti i posti si potranno mantenere e allora servirebbe di crearne di nuovi. Non vedo però questa volontà.

L’associazione che lei guida sta chiedendo da tempo più agilità nel rinnovo dei contratti a tempo determinato. Avete avuto un’interlocuzione costruttiva con il governo?

Oggi le aziende hanno un’orizzonte, in termini di commesse, che non va oltre luglio. Ma quando arriveranno nuove commesse, le aziende dovranno essere reattive. Di qui la necessità che i rapporti a tempo determinato si liberino dei lacci e lacciuoli, come per esempio le causali. Fatta questa premessa, al momento abbiamo visto come nel decreto di luglio annunciato dal ministro Roberto Gualtieri, oltre alla possibilità di estendere la Cassa integrazione a fine anno, oltre al blocco dei licenziamenti, ci potrebbe essere lo stop alle causali fino al 31 dicembre. Ma non abbiamo ancora visto il testo.

Il governo sta lavorando in queste ore a un pacchetto di misure da sottoporre all’Europa per avere massima disinvoltura nell’impiego delle risorse del Recovery Fund. Il cuore sembra essere un intervento sulla pressione fiscale sul lavoro. Una priorità anche per voi?

Il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti è un fatto di giustizia sociale, che andava fatto molto tempo fa. Credo che sia un fattore positivo ridurre la parte di busta paga che se ne va in tasse, si aumenterebbe il potere di acquisto con effetti benefici sulla domanda.

Facciamo una previsione, sperando di sbagliarci. Si parla di nuove forme di povertà nei prossimi mesi. Lei che dice?

Mi aspetto uno scenario di questo tipo, purtroppo. Perché i lavoratori più colpiti da questa crisi sono quelli dei servizi alla persona, ristorazione in testa. E si tratta di lavoratori con reddito basso. Quelle persone avranno situazioni di difficoltà. E per questo, torno a ripetere che oltre ad assistere queste persone, occorre creare nuovi posti di lavoro. Questo è l’imperativo.



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