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Autostrade, chi ha vinto e chi ha perso. La versione di Polillo

Lo schema è stato sempre più quello del lupus e dell’Agnus della favola di Fedro. Ricordate? I due animali che vanno a dissetarsi nello stesso ruscello. Il lupo staziona più in alto e l’agnello più verso la foce, ma l’accusa del lupo è perentoria: stai intorbidendo la mia acqua. A nulla valsero le giustificazioni, basate su ragioni oggettive. Non ci fu nulla da fare per fermare l’istinto famelico del lupo. Che alla fine, scusa dopo scusa, divorò il povero agnellino. Questa volta, tuttavia, il finale è stato meno tragico e Giuseppe Conte, alla fine, è stato costretto a rinunciare all’”arma fine di mondo”. Vale a dire la revoca della concessione.

Alla fine hanno vinto, almeno a giudicare dai commenti della stampa, Roberto Gualtieri e Paola De Micheli che si sono fatti interpreti di una soluzione di buon senso. In un gioco a somma positiva, visto la reazione della borsa che, alla fine, premia gli azionisti di Atlantia, con un balzo del 25%. Che porta il titolo oltre i 14 euro per azione. Valore, tuttavia, ancora lontano dalle quotazioni dello scorso marzo, quando veniva trattato oltre i 22 euro. Con una differenza di oltre il 35%, che misura, in prospettiva, quanto sia costato quel continuo tira e molla tra il governo ed il cda della società.

L’accordo mette definitivamente in naftalina l’ipotesi di una revoca della concessione. Il tormentone che da oltre due anni aveva alimentato le speranze dei 5 Stelle. Che oggi assistono, furiosi ed impotenti, all’ultimo “tradimento” di Giuseppe Conte. Qualcosa che rimanda ad episodi passati. Come la decisione della Tap in Puglia, oppure la vicenda della Tav. Ma allora, almeno, c’era la scusa della presenza della Lega nel governo. Si poteva attribuire a Matteo Salvini, o chi per lui, la responsabilità di una marcia indietro rispetto ai fumosi mal di pancia del Movimento.

Ma con il Pd è un’altra cosa. Cambia l’ordine dei fattori, vale a dire le alleanze, ma il prodotto rimane sempre lo stesso. Lo scorno di militanti ed attivisti costretti a chinare il capo di fronte alle evidenze della real politique. Fossero solo leggermente più seri, dovrebbero riconoscere quanto fantasiose erano state le loro analisi. E quanto ingiustificate le critiche corrosive nei confronti di coloro che li avevano preceduti. Le élite precedenti – ma il Pd che cos’è? – avranno pure le loro responsabilità, ma il governo è l’arte più difficile che possa esistere. È soprattutto un mestiere che non si improvvisa. Come i 5 Stelle stanno imparando a loro spese, senza avere il coraggio di ammetterlo pubblicamente.

Comunque sia, è bene tirare un sospiro di sollievo. Poteva andare molto peggio. Non tanto per i Benetton, che alla fine escono di scena, seppure nell’intervallo di tempo concordato. La finanza, di cui essi fanno parte, non si innamora della “produzione di merce”. I singoli settori produttivi sono tra loro intercambiabili. Si può uscire dal settore autostrade, in Italia, ma non all’estero e acquisire, ad esempio, i palazzi di Piazza Augusto imperatore, poi ceduti in affitto a Bulgari, per realizzare un albergo da sogno. Seguendo una vocazione immobiliare presente, da sempre, all’interno del gruppo. Per la finanza contano gli utili e non la qualità del singolo veicolo che è in grado di determinarli. E la risposta della borsa dimostra che l’accordo trovato non contraddice più di tanto a questa regola.

Il pericolo era la revoca della concessione, che avrebbe messo in ginocchio Autostrade, per poi riflettersi su Atlantia. Non si dimentichi che in Italia, è prodotto il 47 per cento dei ricavi di quest’ultima. E che la sua esposizione finanziaria supera di gran lunga la dimensione del suo patrimonio netto. Cadendo la prima vi sarebbe stato un effetto di trascinamento, che avrebbe contagiato sia gli investitori esteri di Autostrade: Silk Road (5 per cento),che ha anche un rappresentante in consiglio di amministrazione, ed Appia Investment (7 per cento), sottoscritto dal gruppo assicurativo Allianz ed Edf Invest e Dif, con due suoi fondi infrastrutturali. Sia quelli di Atlantia. Nell’ordine: il fondo sovrano di Singapore Gic, la banca Hsbc, il fondo Usa BlackRock e la fondazione Cassa di Risparmio di Torino.

E non finiva qui. Dato l’elevato livello di indebitamento, le grandi banche non sarebbero sfuggite dal dover annotare sui propri registri perdite rilevanti, in un’escalation senza fine che, fatte le debite proporzioni, avrebbe potuto innescare una spirale simile a quella della Lehman Brothers, nel 2008. In un momento in cui le condizioni internazionali, stante la crisi legata a Covid–19, sono quelle che sono. Per fortuna, tutto questo è stato evitato. I 5 stelle escono nuovamente sconfitti da una vicenda che continuamente si rinnova. Manca ancora all’appello Ilva ed Alitalia. Ma c’è tempo per imparare. Almeno così si spera.

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