“Non si fa un’industria di Stato in una nazione che non ha più uno Stato”. Giulio Sapelli scuote la testa. “Altro che Iri”. L’Italia, all’estero, “sembra il Venezuela”. Il professore, storico ed economista della Statale di Milano, commenta così, lapidario, il caso Autostrade, la revoca, il Cdm fiume a notte fonda, le esultanze, l’affondo finale che dopo mesi ha sottratto la compagnia al controllo dei Benetton. “Sottratto? Semmai espropriato. Modello Maduro-Chavez”.
Professore, prima o poi sarebbe accaduto.
Sì, ma non così. Questo è un vero e proprio esproprio governativo. In pieno stile sudamericano, quello che affascinava Prodi e, a quanto pare, anche Conte. L’Italia ne esce malissimo. Il titolo di Atlantia è crollato, e ne pagano le spese i piccoli azionisti. Nessuno vorrà più investire qui. Adesso ci sarà un contenzioso di vent’anni in cui lo Stato perderà fiumi di soldi.
Dove ha sbagliato, il Conte bis?
La vicenda è stata gestita male, fin dall’inizio. E quando dico inizio, intendo da quando decisero di privatizzare un monopolio pubblico anni fa. Si accorsero presto che è molto più difficile controllare un monopolio privato. Dunque il secondo errore.
Cioè?
Sia il governo Prodi che il governo Berlusconi scrissero e riscrissero contratti di concessione più favorevoli al concessionario che al concedente.
Poi è crollato un ponte, a Genova, 43 morti. Anche i Benetton hanno le loro responsabilità, o no?
Una responsabilità morale, prima di tutto. Quando ci fu la tragedia del Ponte Morandi, il Cda di Atlantia, azionisti e manager insieme, avrebbe dovuto dimettersi e chiedere scusa. Altrove, penso al Giappone, sarebbe accaduto nel giro pochi minuti. Sbagliarono loro, e sbagliò anche il governo i giorni successivi.
Come?
Impedendo ad Atlantia di dare il suo contributo nella ricostruzione del ponte. La prima revoca, quella per la manutenzione, per riparare i cocci, è stata un grave errore. Da lì è iniziato un contenzioso ancora in corso, che si è chiuso con un comunicato della Corte costituzionale. Un comunicato, non una sentenza. Taccio per rispetto del presidente della Repubblica.
Sapelli, ora è pronta a entrare in campo Cassa depositi e prestiti, e tutti già gridano alla nazionalizzazione.
L’ignoranza grida sempre. Cdp è un’invenzione sublime di Giulio Tremonti, un ente privato, chi pensa che debba seguire il modello dell’Iri non ha capito nulla. Ha manager intelligenti e cose ben più importanti da fare. Ad esempio, fondare un’amministrazione not-for-profit per amministrare i capitali.
Ci spieghi meglio.
Trasformerei la società in un’impresa not-for-profit gestita dagli amministratori. Lo Stato mette un capitale di avviamento, e gli utili, invece che andare agli azionisti, vanno agli operai, alla manutenzione e all’efficientamento tecnico, garantiscono gli ammortamenti. Le infrastrutture possono diventare un common good, senza bisogno di ventilare nazionalizzazioni. Questa storia dello Stato onnipresente non regge più oggi. Un tempo i manager erano nominati dal potere, ma non dipendevano dal potere. Allora sì che aveva senso parlare di industria di Stato. Quelli erano uomini, non caporali.
Professore, mentre parliamo a Bruxelles si decide il futuro dell’Europa, cifre alla mano.
Il futuro geopolitico dell’Europa, prima ancora di quello economico, ma qualcuno fa finta di non accorgersene. Questi signori sono di fronte a un bivio. Altro che Nord e Sud. L’Europa deve scegliere se essere una potenza di terra o una potenza di mare. Per imboccare la seconda strada deve risollevare l’Italia e la Francia, i due Paesi che le garantiscono una proiezione nel Mediterraneo, e lo deve fare con contributi a fondo perduto.
Altrimenti?
Altrimenti può continuare a vivere sulle spalle della Germania e dei Paesi frugali, e rimanere una potenza di terra. Chiusa in se stessa, ferma mentre va a fondo, come nelle sabbie mobili.