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Su Mes e Recovery Fund a Conte serve un miracolo. La versione di Polillo

Forse più che un avvocato, come inquilino di prestigio di Palazzo Chigi, ci vorrebbe un esorcista. Una persona capace di estirpare dalla mente di tanti leader politici l’assillo di una coerenza mal riposta. E sostituirla con l’umiltà dei forti. Di coloro cioè che sanno riconoscere i propri errori e provvedervi nel momento in cui sono in gioco i superiori interessi del Paese. Tra qualche giorno, il 16 ed il 17 giugno, a Bruxelles, nella sede del Consiglio europeo, l’Europa dovrà dimostrare di esistere. Che i contrasti tra i “frugali” e i “gaudenti”, i primi capitanati dall’Olanda, i secondi adagiati lungo le sponde del Mediterraneo, appartengono ad una normale fisiologia. Che è tipica di tutte le strutture complesse.

Si dovrà decidere soprattutto sul Recovery Fund, o meglio sul Next generation Fund, se il cambio di nome, voluto da Ursula Von Der Leyen, ha quel significato che il prof. Giulio Tremonti, vi ha ravvisato. Quanto grande dovrà essere la torta? Ma soprattutto quanti grant e quanti loans. Vale a dire aiuti a fondo perduto e prestiti da restituire. L’Italia, salvo un miracolo dell’ultim’ora, si presenta all’appuntamento in una posizione di debolezza estrema. Complice la divaricazione intervenuta sul Mes (accettarlo o meno: questo il problema) in una maggioranza che, ormai, non esiste più.

Certo: manca ancora la certificazione di un voto del Parlamento, che comunque vi dovrà essere, essendo previsto dalla legge; ma non serve nascondersi dietro un dito. La realtà ci dice che, paradossalmente, su quel problema, dalle presunte drammatiche conseguenze, esiste una maggioranza diversa, costituita dai 5 Stelle, la Lega di Matteo Salvini e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. In un altro momento se ne sarebbe preso atto ed agito di conseguenza. Ma oggi, questa soluzione, specialmente in concomitanza con la presidenza europea di Angela Merkel, è del tutto impossibile.

Ed allora Giuseppe Conte dovrà fare quel miracolo che gli ha suggerito Mario Monti dalle pagine de Il Corriere della Sera. Dovrà presentare una risoluzione in cui “fare cenno al Mes, ma senza pregiudicare ancora le posizioni dei diversi partiti sull’attivazione dei meccanismi”. Il tutto dopo aver “ricercato il sostegno più ampio delle forze politiche della maggioranza e dell’opposizione”. Auguri: verrebbe da dire. Pensiamo all’oggi “del doman non v’è certezza”.

Può riuscire? Chi può dirlo? Al momento tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione tifano per lo status quo. Al di là delle roboanti dichiarazioni con cui cercano di galvanizzare un base elettorale sempre più disincantata. Se non fosse così, non si capirebbe uno scontro epico, che tale non può essere. Il non volere prendere atto che il Mes di oggi è diverso dal quello del 2012. Ed al quale l’Italia ha contribuito con ben 58 miliardi (a valere sul proprio debito pubblico), sempre che non ne debba sborsare altri 111, avendo sottoscritto l’intero capitale. Altro paradosso di una situazione che qualsiasi persona normale stenterebbe a comprendere.

Immaginiamo gli altri europei, dotati di una cultura che non è quella sofisticata degli intellettuali della Magna Grecia. Come una volta si diceva dell’argomentare di Ciriaco De Mita. Si chiederanno: ma che vogliono questi italiani? Con il Mes avevano il solo vincolo di spendere 37 miliardi nel settore della sanità. Con il Recovery Fund, o come lo si vuole chiamare, i vincoli saranno molteplici. Riguarderanno i singoli programmi, da completare nelle scadenze previste, con i finanziamenti dati solo a “stadio di avanzamento”. Più condizionati di così?

La verità – questo il sospetto – è che gli italiani vorrebbero avere le mani libere ed un finanziamento a piè di lista. Cose che non esistono più in natura. Perché quando sono state sperimentate, come nel corso degli anni ‘70, si è creato quel baratro dal quale l’Italia, ancora oggi, non é venuta fuori. Si può sbagliare una volta, ma perseverare è semplicemente diabolico.

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