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Perché l’Europa si gioca tutto sul Recovery Fund. Parla Fitoussi

Il Consiglio europeo che dovrebbe sancire lo sblocco definitivo del programma da 750 miliardi fatto di prestiti e sussidi, alias Recovery Fund, è ancora in corso, dopo essere iniziato alle 10.25 di questa mattina. Ma le divergenze sono ancora molte, troppe. Lo dimostra lo stop ai lavori, dopo otto ore di confronto, per una pausa di riflessione di due ore. Da una parte il fronte mediterraneo, sostenuto dal premier Giuseppe Conte, dall’altro quello dei Paesi frugali del Nord. Per l’Italia ci sono in ballo 170 miliardi, di cui una buona metà sotto forma di contributi a fondo perduto. Un obiettivo che appare non ancora a portata di mano.

EUROPA SPACCATA?

I segnali arrivati da Bruxelles non sono incoraggianti. I 27 leader europei si sarebbero incagliati su governance, dimensioni e correttivi vari del Recovery Fund. Finora sarebbero state avanzate diverse richieste di un’ulteriore riduzione del massimale del bilancio pluriennale europeo e dei finanziamenti del Recovery Fund. La Francia invece si sarebbe impuntata sui rebates, i rimborsi accordati ad alcuni Stati membri, solitamente i contributori più diretti, che Parigi vuole eliminare. I Paesi Bassi invece, i più ostici sul Recovery Fund, hanno ribadito la richiesta di un nuovo meccanismo di governance, mentre Italia e Spagna insistono sulla proposta originaria della Commissione europea. Insomma, le divisioni non mancano e secondo Jean-Paul Fitoussi, economista francese di fama internazionale, oggi in forza alla Luiss School of Government e all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, è proprio questo il problema, l’Europa rischia l’eutanasia.

FINO ALL’ULTIMO CENTESIMO

Fitoussi è perentorio. “Vedo un ricatto da parte dei Paesi frugali, che mi pare puntino a ottenere una qualche forma di compenso in sede di negoziato. L’Olanda si è sempre comportata così. Lo sanno tutti. Ma la crisi è qui, adesso, e i Paesi, Italia su tutti, devono prendere i soldi, senza rinunciare nemmeno a un centesimo, perché le popolazioni vanno protette e non c’è muro o veto che tenga”. Secondo l’economista “è assurdo che oggi ci siano Paesi i cui si pagano molte meno tasse e hanno la pretesa di impedire che i Paesi in difficoltà accedano alle risorse del Recovery Fund”. Ma una via d’uscita, da uno scontro che sembra frontale, c’è. La Francia, per esempio, “ha sempre insistito sull’eliminazione dello sconto sui contributi, i rebates, e questo può essere uno scambio: come a dire, noi lasciamo lo sconto che a voi del Nord va bene, ma voi in cambio accettate la proposta della Commissione europea che serve ai Paesi del Sud”.

NIENTE TRUCCHI A BRUXELLES

Il compromesso, secondo Fitoussi, deve essere necessariamente trovato, anche a costo di andare incontro alle pretese, sbagliate secondo l’economista, dei Paesi frugali. “Sarebbe stupido non trovare un accordo, perché non firmare oggi vuol dire firmare la fine dell’Europa. Anzi, se proprio debbo essere sincero è già tardi. L’Italia avrà quello che le spetta, me lo auguro almeno, spero che non ci siano troppe condizioni all’accesso ai fondi. Ma l’Europa oggi non può e non deve spaccarsi sul Recovery Fund. Parliamo di soldi che possono garantire la sopravvivenza di interi Paesi. E pensate che parliamo di un piano di aiuti che vale 750 miliardi per 500 milioni di persone. Decisamente più ridotto rispetto a quello americano, che poggia su migliaia di miliardi a sostegno di una popolazione che è due terzi di quella dell’Ue”.

EUROPA A RISCHIO EUTANASIA

La domanda di fondo è però una e una soltanto. Che succede se il Consiglio fallisce? “L’Europa non fallirà subito, ma sarà l’inizio della fine, una morte lenta del Vecchio Continente. Perché l’Europa non può mantenere quello che promette. Non dimentichiamoci mai e poi mai una cosa. L’Ue è stata fatta perché affrontare i problemi insieme era meglio che farlo da soli. Se questo concetto viene meno, l’Europa morirà, lentamente”.

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