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L’influenza russa in Uk è la nuova normalità. Il report degli 007 britannici

“L’influenza russa nel Regno Unito è la nuova normalità”. È una sentenza la frase con cui si apre il comunicato stampa dell’atteso “Russia report”. Il documento, di 55 pagine, è stato diffuso soltanto oggi, dopo quasi un anno e mezzo in cui è rimasto bloccato nelle scrivanie della commissione Intelligence e sicurezza del Parlamento britannico. Si tratta di un lavoro frutto del materiale d’intelligence raccolto dalle agenzie di spionaggio britanniche e dei contributi di esperti, di cui però è stata resa pubblica soltanto una versione ricca di passaggi oscurati. Quella riservata è for official eyes only.

IL FLUSSO DI RUBLI

“Il Regno Unito è chiaramente un obiettivo per la disinformazione russa”, si legge nel rapporto che dettaglia come Londra abbia accolto “a braccia aperte” gli oligarchi russi e i loro schemi di Laundromat, ma sia stata incapace di rispondere alla minaccia di certi “agenti de facto dello Stato russo” alla sicurezza nazionale britannica. “La fusione tra Stato, affari e criminalità organizzata e grave forniscono ulteriore peso e influenza: la Russia è in grado di rappresentare una minaccia onnicomprensiva alla sicurezza — che è alimentata dalla paranoia sull’Occidente e dal desiderio di essere vista come una grande potenza risorgente”, si legge nel dossier che sottolinea come la dura risposta britannica anche nelle sedi internazionali all’attentato di Salisbury del 2018 (agenti russi tentarono di avvelenare un ex agente doppiogiochista, Sergej Skripal, e la figlia Yulia) abbia alimentato le attività russe nel Regno Unito.

E ancora: “Una vasta sfera dell’establishment britannico — società di pubbliche relazioni, enti di beneficenza, interessi politici, università e istituzioni culturali — erano tutti beneficiari volontari del denaro russo, contribuendo a un processo di ‘pulizia della reputazione’”.

LE RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO

Se ci sono evidenze “credibili” che la Russia di Vladimir Putin abbia cercato di influenzare il voto referendario scozzese del 2014, secondo la commissione è “impossibile” concludere se ci sia stata o no interferenza russa nel referendum della Brexit di due anni dopo. Perché? Perché il tema è “una patata bollente” che nessuno al governo ha voluto né vuole avere in mano, si legge. Diversamente da quanto fatto dagli Stati Uniti, il governo britannico (da un decennio guidato dai tory) non si è nemmeno preoccupato di scoprirlo, spiega la commissione in un duro affondo — a cui si è immediatamente unito il Labour — contro il governo di Boris Johnson ma anche contro quelli precedenti guidati da David Cameron e Theresa May.

“Con Putin la Russia da potenziale partner è diventata minaccia consolidata”, ha spiegato la commissione che ha invitato il governo a impegnarsi per dare maggiore spazio alle agenzie di intelligence.

IL VOTO È SALVO?

“In termini di minaccia diretta alle elezioni”, si legge nel documento, “siamo stati informati che i meccanismi del sistema di voto del Regno Unito sono considerati in gran parte validi: l’uso di un sistema di voto e conteggio altamente diffuso basato su carta rende difficile qualsiasi interferenza significativa, e comprendiamo che Gchq (Government Communications Headquarters, agenzia di sicurezza, ndr) ha intrapreso una grande mole di lavoro per contribuire a garantire che il sistema di registrazione degli elettori online sia sicuro”. Ma ciò non ha evitato alla commissione di fare appello al governo affinchè agisca immediatamente per rafforzare le difese.

SPUNTA ANCHE L’ITALIA

Con riferimento alle preoccupazioni internazionale delle attività cyber russe, il comitato scrive: “In particolare, notiamo che la Francia non sembra aver condannato pubblicamente le attività informatiche russe, ed è stato ampiamente spiegato che altri governi europei, come Austria e Italia, negli ultimi anni sono apparsi avvicinarsi pubblicamente al Cremlino”.

LE TENSIONI A LONDRA

Come detto, il rapporto è rimasto bloccato per un anno e mezzo. Downing Street ha fatto di tutto per evitare che venisse pubblicato prima delle elezioni dello scorso dicembre. Le teorie per spiegare questo ritardo sono almeno due. La prima: il timore di Johnson di ripercussioni sui consensi. La seconda: lo scontro tra i Dominic — Dominic Cummings, superconsigliere del premier, avrebbe bloccato la pubblicazione per evitare di dare spazio e visibilità a Dominic Grieve, allora presidente della commissione, che dopo aver lasciato il Partito conservatore si è candidato a dicembre da indipendente (senza successo).

E se alle questioni politiche aggiungiamo il fatto che mai per la formazione della commissione Intelligence e sicurezza erano serviti sette mesi, ecco che si arriva alla scorsa settimana. Quando, con un golpe parlamentare che ha indispettito il premier e il suo staff, il deputato tory Julian Lewis, già presidente della commissione Difesa della Camera dei Comuni, ha trovato il sostegno dell’opposizione ed è riuscito a strappare a un altro tory, un fedelissimo di Johnson, Chris Grayling, la presidenza di questo potente comitato composto da nove membri (provenienti dalla Camera dei Comuni e da quella dei Lord) che supervisiona le attività di tutti i servizi segreti britannici. Così Lewis, cacciato dal gruppo parlamentare del Partito conservatore, ha deciso di mettere in cima alla sua agenda proprio il “Russia report”, come raccontato da Formiche.net.

LE ALTRE ACCUSE A MOSCA

Giovedì scorso è stato un giorno di particolare tensioni tra Regno Unito e Russia, Paesi di cui ampie fette dele élite hanno da sempre rapporti piuttosto stretti. La scorsa settimana, come raccontato da Formiche.net, il National Cyber Security Center (Ncsc) britannico ha accusato la Russia di condurre una campagna hacker per sottrarre (o intralciare) le attività di laboratori farmaceutici e centri di ricerca del Regno Unito (e non solo, ma anche negli Stati Uniti e in Canada) impegnati negli studi sul vaccino per il coronavirus.

Nello stesso giorno, il governo britannico ha dichiarato che “attori russi” hanno “quasi sicuramente” cercato di interferire nelle elezioni generali tenutesi nel Regno Unito nel dicembre dell’anno scorso diffondendo documenti sui negoziati commerciali tra Londra e Washington ottenuti illegalmente. Proprio quelle 451 pagine finite, non si sa bene come, nelle mani dell’allora leader laburista Jeremy Corbyn, sulle quale basò l’accusa al Partito conservatore (che smentì) di voler svendere il servizio sanitario nazionale britannico (Nhs) agli Stati Uniti. Fu un vero e proprio tormentone della campagna elettorale di Corbyn, come scrivevamo su Formiche.net.


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