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Perché diciamo sì al Mes e alla task force. Parla Claudio Mancini (Pd)

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I 36 miliardi del Mes servono a finanziare spese sanitarie già sostenute per l’emergenza Covid, non a fare altro deficit. Il deputato dem Claudio Mancini, segretario della commissione Finanze e membro anche della commissione Bilancio, conosce bene i dossier europei e italiani sulla risposta all’emergenza coronavirus. Dice sì alla nuova linea di prestito del Salva Stati e non nasconde i timori sull’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery fund. Troppi in poco tempo, con la necessità di preparare il Paese a un nuovo ciclo economico. La task force può essere uno strumento utile ad affiancare Parlamento e governo. E proprio in Parlamento non sono da escludere maggioranze non politiche su Mes, conti pubblici, ma anche legge elettorale.

È vero che senza adesione dell’Italia al Mes c’è un problema di liquidità?

Le indiscrezioni riportate dai giornali sono state smentite. Ma c’è un aspetto della vicenda Mes che sfugge. Le risorse della nuova linea di credito del meccanismo servono a finanziare, a tassi di interesse più bassi di quelli ordinari, le spese sanitarie già sostenute. Non si tratta di utilizzare quei 36 miliardi facendo nuovo deficit, quindi chiedendo un nuovo scostamento. L’adesione al Mes sarebbe una diversa forma di finanziamento degli scostamenti già approvati. In questo senso è corretto dire che bisogna valutare la questione sulla base delle esigenze di finanziamento dello Stato.

A tassi di interessi più bassi rispetto alle emissioni di titoli del debito italiano…

Intanto è importante che ci sia la possibilità di utilizzare questo strumento. Già questo serve a mantenere basso il nostro spread. Poi noi siamo dell’opinione che si possa utilizzare per i tassi, ma anche perché rispetto alle linee di prestito ordinarie sono state modificate le condizionalità, come ha ricordato il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni.

Dopo il Mes l’Italia dovrà spendere le risorse del Recovery fund, più di 200 miliardi tra prestiti e sovvenzioni. C’è veramente il rischio di assalto alla diligenza?

L’esigenza fondamentale è di fare arrivare queste risorse rapidamente alla società e di farle entrare nel circuito economico. Su questa opportunità e sulla necessità di rapidità è chiaro che dobbiamo fare una riflessione. Dopo tanti anni di politiche restrittive le stesse strutture dello Stato sono disabituate a gestire importanti operazioni di spesa pubblica. Per questo il decreto semplificazione è parte della manovra economica.

C’è il rischio che non si spendano?

O che si spenda con pigrizia progettuale. Noi abbiamo bisogno che le risorse siano indirizzate velocemente su progetti e vengano valutate per il valore aggiunto che danno al ciclo economico. Su questo bisognerà trovare un equilibrio. Non è facile e nessuno ha la bacchetta magica, ma bisogna evitare che la pigrizia prenda il sopravvento e si pensi di spendere i fondi come se fosse spesa ordinaria.

La task force può essere uno strumento utile?

Intanto è positivo che si chiamino degli esperti e finisca la stagione dell’incompetenza come prerequisito nella gestione della cosa pubblica. La debolezza di certi processi decisionali e i limiti del regionalismo richiedono la creazione di nuovi modelli. Poi la task force è anche un modo di fare partecipare la società civile.

I meccanismi di controllo sull’uso delle risorse abbozzate nell’intesa dell’ultimo Consiglio europeo possono essere un ostacolo?

Al contrario, le regole europee possono alzare la qualità della spesa, sono vincoli positivi di indirizzo verso settori che possono avere più efficacia. La scommessa è sostenere le imprese alle prese con il nuovo ciclo economico, fare in modo che le aziende possano sostenersi con le proprie gambe.

In questa fase ci saranno almeno due passaggi parlamentari chiave, per lo scostamento di bilancio e per il Mes. Possibile che si creino maggioranze diverse da quella che sostiene il governo?

Dobbiamo abituarci a una doppia maggioranza. Una politica fondata sull’asse Pd e Cinque Stelle, che durante la crisi ha dimostrato capacità di convergere anche su punti che non erano nel programma di governo. Un’alleanza stabile che si sta delineando. Poi c’è una seconda maggioranza che bisogna realizzare in Parlamento e che può ritrovarsi sulle questioni fondamentali, come l’europeismo e la collocazione internazionale dell’Italia, la capacità di affrontare alcune riforme a cominciare da quella fiscale. Sul piano interno le semplificazioni, la riforma della giustizia amministrativa, fino alla legge elettorale, guardando all’elezione del Presidente della Repubblica.

Quindi andrete a caccia di voti moderati?

Non è un problema di caccia al voto. Forza Italia si è espressa da tempo a favore del Mes e quindi ritengo che se il governo dovesse procedere avrebbe la maggioranza in Parlamento. Ma a questa eventuale maggioranza non attribuirei un valore politico. Semmai una convergenza istituzionale su temi come Mes, riforme e legge elettorale.

Supererete la contrarietà dei Cinque Stelle sul Mes?

Intanto non è più una contrarietà ideologica del movimento. C’è una minoranza che è fortemente contraria al Meccanismo, ma se fosse necessario al Paese ritengo che nel M5s prevarrebbe l’idea di utilizzarlo, magari dopo forme di consultazione interna. Poi presidente del Consiglio Giuseppe Conte sta costruendo la sua credibilità e la sua forza proprio dal rapporto con l’Europa. Pd e Cinque stelle si stanno incontrando proprio sul terreno dell’europeismo popolare, cioè sulla capacità di mettere assieme identità, collocazione europea con l’interesse nazionale e un consenso popolare.

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