Il male minore, per questo necessario. Nell’Italia del post Covid-19, aumentare il deficit di 100 miliardi in cinque mesi (l’ultimo scostamento, approvato ieri, ne vale 25) non è una scelta, ma un obbligo verso un’economia che barcolla. Non ha il minimo dubbio Carla Ruocco, grillina della prima ora e ai vertici della nomenclatura pentastellata, dal febbraio 2020 presidente della Commissione Bicamerale di inchiesta sul sistema bancario, l’organismo (fortemente voluto dal M5S) chiamato a fare luce sulle principali vicende bancarie che hanno scosso il mondo del credito italiano.
Ruocco, ieri il governo ha chiesto e ottenuto altri 25 miliardi di deficit, siamo quasi a 100 in pochi mesi. Non sarà troppo per i nostri conti pubblici?
Sono scelte dolorose ma sono necessarie e se lo facciamo c’è un motivo. La nostra economia sta soffrendo, non possiamo permetterci troppe vittime di questa crisi, azioni come queste sono doverose in situazioni come quella attuale.
Per fortuna c’è il Recovery Fund. Oltre 200 miliardi per l’Italia, tra prestiti e contributi a fondo perduto…
Sì, frutto di una grande trattativa che il premier Giuseppe Conte ha saputo condurre molto bene in Europa. Il problema è che i fondi non arriveranno subito e allora ecco che sono necessarie alcune misure ponte, i cui effetti, anche sui nostri conti, verranno successivamente sanate grazie alle risorse del Recovery Fund. Risorse con le quali sarà possibile attuare un grande piano di investimenti, che con un effetto moltiplicatore neutralizzerà lo stesso deficit, incidendo direttamente sul Pil.
Attenzione però alla memoria corta. L’Italia in passato ha più volte sprecato fior di risorse europee. Un errore da non ripetere, ne converrà.
Certamente. Occorre realizzare precisi piani di spesa per l’impiego delle risorse, senza dimenticarci che abbiamo una grande occasione: quel Mezzogiorno d’Italia che questa volta deve essere al centro dell’agenda di investimenti da Recovery Fund. Oggi non può e non deve accadere che si sprechi denaro.
Vietato sprecare e va bene. Ma dove concentrare gli sforzi e le risorse messe a disposizione dell’Europa?
La pietra angolare dell’agenda sono le infrastrutture. E quando parliamo di infrastrutture non dobbiamo solo pensare alla riqualificazione del territorio ma anche a dare lavoro a persone, aprendo cantieri. Perché solo se si aprono cantieri si rivitalizza la domanda e si dà lavoro, alle imprese e ai lavoratori. La mission deve essere questa, ma ci sono poi altri modi per spendere i soldi del Recovery Fund.
Per esempio?
Pensiamo alla riqualificazione del patrimonio artistico e archeologico del nostro Paese. Pensiamo alla cultura, settore peculiare della nostra ricchezza e della nostra economia.
Ieri il rimpasto dei vertici delle commissioni parlamentari. E oggi parecchi malumori nel Movimento. Incidente di percorso o qualcosa di più?
Quando ci sono questi passaggi di metà legislatura credo sia fisiologico che si manifestino malumori anche perché parliamo di un elevato numero di presidenti, è un passaggio delicato, non certo banale e francamente qualche malumore ci può scappare.
Oggi si è conclusa l’Opas di Intesa SanPaolo su Ubi, un’operazione che darà vita al settimo gruppo bancario europeo da 1,1 miliardo di utili, secondo Mediobanca. Un suo giudizio?
Credo che in termini di aggregazione, di economie di scala e di ottimizzazione delle risorse sia stato fatto un ragionamento corretto, anche in termini di competitività e di costi per la collettività. Ma bisogna fare anche attenzione al rapporto con i territori, affinché una simile operazione non precluda il rapporto tra banca e clientela. La fusione non deve diventare un qualcosa di avulso dal rapporto istituto-cliente.
Chiudiamo su Autostrade. Andando oltre il dibattito su nazionalizzazione o non nazionalizzazione, il caso Aspi è forse l’ultimo esempio di un ritorno dello Stato al centro dell’agenda economica e industriale. Una lettura corretta?
Forse è meglio chiarire. Lo statalismo non mi appartiene, credo che quando si parla di Stato lo si debba fare in modo moderno e penso che più volte in passato lo Stato abbia dato prova di efficienza al pari delle imprese private. L’idea che oggi dobbiamo avere di Stato è quella di uno Stato produttivo e non che si accolla imprese decotte socializzandone le perdite o che interviene solo per rimediare ai danni. Sulle banche è corretto per esempio proteggere il risparmio, ma se pensiamo a una banca di Stato mi viene in mente una grande banca pubblica per la gestione degli npl: lo Stato può diventare protagonista socializzando una volta tanto utili e non perdite.
Una banca di Stato però oggi c’è, Mps. Il Tesoro (azionista al 68%) ha promesso di uscire dal capitale nel 2021. Poi che succederà?
Vedremo. Ma sicuramente l’uscita dal capitale in questo modo non mi pare molto coerente, vorrei sottolineare come nella visione del Movimento 5 Stelle c’è una disponibilità a mantenere un ruolo dello Stato in Mps.