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Sanità, tutti gli errori da non rifare. Parla Scaccabarozzi (Farmindustria)

I numeri del farmaceutico promettono bene, mantenendo positivi quasi tutti i trend: produzione, export e occupazione. Del resto, il comparto non si è mai fermato, soprattutto durante l’emergenza Covid, come ha ricordato Massimo Scaccabarozzi. Che preme, però, su una delle priorità del settore: rivedere i tetti di spesa e far confluire i fondi per la convenzionata – spesso inutilizzati – nella spesa ospedaliera, che invece non ne ha mai abbastanza. Una soluzione, questa, che potrebbe non scontentare nessuno, e favorire finalmente un settore che può fare da volano per la crescita nazionale.

Possiamo dire che Farmindustria ieri ha dato i numeri, ma non in senso metaforico. Può condividerne qualcuno con noi?

Assolutamente sì, anche perché si tratta di numeri importanti e significativi. La farmaceutica ha aumentato i livelli di produzione, raggiungendo i 34 miliardi di euro. Una cosa straordinaria, ancor più se si considera che questo trend è dovuto in larga parte all’aumento dell’export.

Di quanto parliamo?

Un anno e mezzo fa l’export era arrivato al 72% del totale, oggi siamo all’85% – e le previsioni sono di ulteriore crescita.

Sappiamo che il farmaceutico, da anni, ha ricadute positive anche sull’occupazione. La tendenza è confermata?

Assolutamente sì. L’occupazione nel settore è cresciuta del 10%, il doppio della media degli altri comparti dell’industria. Spicca, tra l’altro, sia l’occupazione giovanile che quella di qualità, con oltre il 90% degli occupati diplomati o laureati.

Un dato importante in un momento di crisi come questo…

C’è da dire che noi, ancor più in questo momento, non ci siamo mai fermati. Noi produciamo farmaci, come avremmo potuto fermarci proprio ora? Anzi, ci siamo rimboccati le maniche e a fine febbraio avevamo già creato cinque task force differenti che potessero aiutarci ad affrontare l’emergenza.

Ovvero?

Organizzazione del lavoro, produzione, distribuzione, ricerca clinica e informazione scientifica, tutte fondamentali. Organizzazione del lavoro, perché per continuare a lavorare era prioritario mettere in sicurezza le nostre persone. Produzione e distribuzione per garantire che i farmaci arrivassero a chi ne aveva bisogno. Alla ricerca clinica, poi, abbiamo dato particolare attenzione: non potevamo interrompere i trial clinici perché avrebbe avuto conseguenze drammatiche su persone già particolarmente fragili. In merito all’informazione scientifica, è evidente a tutti quanto ce ne fosse bisogno durante l’emergenza.

A proposito di numeri, perché il pharma è riuscito a crescere più di tutti gli altri settori?

Semplicemente perché produce salute. La nostra crescita proviene, come dicevo, in primis dall’export. Ed è importante, perché abbiamo una composizione del settore mista, con 40% di aziende a capitale italiano e 60% a capitale estero. Quelle a capitale italiano si sono internazionalizzate, andando a occupare mercati che prima non occupavano. Quelle a capitale straniero hanno produzioni nel nostro Paese. Ricordiamo che l’Italia è il primo Paese per investimenti americani e tedeschi e secondo per quelli svizzeri e francesi. Siamo diventati indiscutibilmente un hub strategico sul piano internazionale, anche grazie al periodo di stabilità normativa che abbiamo vissuto e che ci ha consentito di dare credibilità al nostro Paese, anche come driver di innovazione.

Quali sono le priorità di Farmindustria per il biennio a venire e quali le sfide su cui ci sarà ancora tanto da combattere?

Le due cose un po’ coincidono. La sfida più importante è convincere le istituzioni che la priorità non è solo intervenire sulla spesa sanitaria, ma consentire all’industria del farmaceutico di funzionare e andare avanti. Non dimentichiamo che nel periodo di maggiore crisi, quando l’industria faceva in media -7%, noi facevamo +24%.

Cosa impariamo dal Covid?

Proprio questo. La necessità di fornire al comparto tutte le carte in regola per funzionare. Non dimentichiamo che se siamo rimasti senza mascherine durante l’emergenza vuol dire che qualcosa non è stata fatta come si sarebbe dovuta fare. La farmaceutica, per fortuna, non ha vissuto questo dramma, ma se non si adottano le giuste strategie il rischio che questo possa accadere c’è.

Bisogna cambiare la governance, insomma?

Non proprio. L’importante è che ci siano gli investimenti e che siano investimenti mirati e ben spesi. Abbiamo la spesa pubblica farmaceutica più bassa d’Europa. Ci basterebbe, insomma, che le risorse del farmaceutico restassero nel farmaceutico.

Come?

È molto semplice. In Italia abbiamo due tetti, uno per la convenzionata, e quindi territoriale, l’altro per la diretta, ovvero la spesa ospedaliera. Da anni, ormai, nella convenzionata restano fondi inutilizzati, mentre nella diretta i fondi non sono abbastanza e si sfora il tetto di quasi 3 miliardi. La soluzione è molto semplice, basterebbe veicolare i fondi della territoriale nell’ospedaliera. Il problema è che non c’è stata la volontà di farlo.

E ci sarà?

Guardi, il settore aveva un contenzioso con le istituzioni, che si è risolto con un accordo semplicissimo. Le industrie del comparto avrebbero pagato anche quanto non spettava loro, a patto che si risolvesse il problema dei tetti e del payback farmaceutico. Ma i patti non sono stati rispettati. Avevo coniato una frase, di recente: “Non c’è salute senza economia”. Ma il Covid ci ha insegnato che non può nemmeno esserci economia senza salute. Mi auguro che le istituzioni ne prendano atto.

E siete ottimisti?

Devo dire che al momento godiamo di un ottimo rapporto con le istituzioni, come forse non era mai stato prima. All’interno del Def viene riconosciuto il valore dell’industria farmaceutica: si parla di riequilibrio dei tetti e di payback. È evidente che c’è consapevolezza di quello che facciamo e che possiamo fare il Paese. Apprezziamo molto, tra l’altro, quanto detto da Conte e da Speranza in merito al nostro comparto. Ci auguriamo solo che si trovi il primo provvedimento utile per fare quanto ci è stato promesso. Noi siamo fiduciosi.


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