La volontà in apparenza è esplicita: niente interferenze in Bielorussia. Sarebbero “inaccettabili”, lo hanno detto la Cancelliere, Angela Merkel, e il presidente russo Vladimir Putin in un colloquio telefonico. Da Berlino arriva un monito: “Astenersi dalla violenza”, come chiesto dal Camera italiana, contro i manifestanti pacifici scesi in strada dopo le ultime elezioni. Significa praticamente non dar seguito all’accordo di cooperazione militare con la Russia che in questi giorni è stato sventolato da Aleksandr Lukashenko come una bandierina politica su Minsk e ricordato anche dal Cremlino. Molto sembra retorica: il portavoce di Putin ha dichiarato che al momento “non c’è bisogno” di assistenza russa a Minsk (posizione che esce anche dalla Bielorussia).
“La Bielorussia non è l’Ucraina. Trovo comprensibile che si corra indietro col pensiero e si riveda nelle proteste di Minsk il Maidan del 2014, ma questa non è una protesta geopolitica”, spiega a Formiche.net Eleonora Tafuro Ambrosetti, analista dell’Ispi nel programma Russia, Caucaso e Asia Centrale. Cosa significa? “Significa che chi scende in strada non vuole vedere la Bielorussia su un altro allineamento geopolitico rispetto a Russia o Occidente. Chiede indipendenza rispetto all’unione prospettata da Mosca, non non disdegna i collegamenti con la Russia. Si protesta contro un presidente che ha creato un regime asfissiante da dozzine di anni”.
La nota del Cremlino sulla telefonata Putin-Merkel ha sottolineato come l’iniziativa sia partita da Berlino e come entrambi i leader si siano trovati d’accordo sulla necessità di evitare escalation e interferenze. “In effetti, la Russia non ha interesse a mantenere Lukashenko al potere, ma più che altro vuole tenere viva la propria sfera di influenza sulla Bielorussia. Detto più chiaramente, in realtà Putin non è particolarmente vicino a Lukashenko, né come affinità né come alleato politico. Durante gli ultimi mesi – continua Tafuro Ambrosetti – abbiamo visto come le relazioni sono notevolmente peggiorate tra i due leader e il bielorusso non ha esitato a giocare la carta occidentale secondo una politica estera multivettoriale che guarda a Mosca come a Ovest”.
È una doppia narrazione simile a quella dell’ex presidente ucraino esautorato dal Maidan, Viktor Yanucovich, spesso considerato superficialmente molto sbilanciato sulla Russia, ma in realtà attivo nei contatti con l’Occidente. “Esatto. Lukashenko ha una narrativa semplificabile in: io sono un presidente autocratico, ma se voi europei mi rimuovete la Bielorussia avrà problemi di instabilità e se invece mi indebolite io scivolo verso la Russia“.
“Tuttavia – aggiunge l’analista italiana – non credo che Putin vorrà intervenire militarmente come in quel caso, perché muoversi in maniera esplicita non gli conviene. In Bielorussia non troverebbe lo stesso sostegno che ha invece trovato in Crimea. E d’altronde è quello che stiamo vedendo. Un atteggiamento prudente”. In Bielorussia per altro non ci sono regioni a tendenze separatiste russofile che potrebbero essere un aggancio per azioni militari. Eppure nei giorni scorsi sono stati ripresi mezzi da trasporto militare Kamaz e Ural muoversi lungo le strade russe verso il confine: tutti senza insegne, simili a quelli che trasportavano i cosiddetti “little green men“, gli omini verdi che hanno contraddistinto l’intervento ibrido russo in Ucraina.
“D’altronde sarebbe ingenuo non pensare che attori stranieri non siano in Bielorussia per sfruttare la protesta, a cominciare chiaramente dalla Russia”, spiega l’esperta dell’Ispi. Due giorni fa, il ministro degli Esteri lituano ha definito per esempio Lukashenko “l’ex presidente bielorusso”: lo ha fatto mentre parlava della disinformazione diffusa in una dichiarazione della presidenza di Minsk riguardo all’ammassamento militare Nato ai confini del paese. Circostanza smentita anche dalla portavoce della Nato: ciò nonostante, anche per spingere la propaganda contro un nemico esterno, ieri Lukashenko ha detto di aver dato ordine di schierare i militari lungo il confine occidentale (quello con la Polonia).
“Lituania e Polonia sono due dei paesi più interessanti al rischio destabilizzazione, in quanto confinanti. Varsavia vede Lukashenko come l’incarnazione attuale dell’eredità sovietica, un nemico. Però ha interesse – spiega Tafuro Ambrosetti – a mantenere la situazione sotto controllo perché con la Bielorussia ha interconnessioni e soprattutto perché teme che la caduta del sistema possa portarsi dietro una problematica ondata di profughi”.
È un po’ il fondo del ricatto su cui si basa la narrazione del presidente bielorusso, come detto. “Esattamente. E questo vale per l’Ue, dove la Germania è la nazione più coinvolta, sia per gli Usa. Tutti si sono mostrati disponibili al dialogo in passato: ricordiamo che nel 2016 l’Europa ha tolto le sanzioni legate alle elezioni del 2010 perché Lukashenko aveva liberto dei prigionieri politici. Ma non è che ai tempi la sua presidenza fosse il regno dei diritti”.
Torniamo un attimo sulla Germania: perché è la “nazione più coinvolta”?. “L’atteggiamento tedesco è di rifiuto della repressione come detto da Merkel, e questo ha portato Berlino a chiedere di rispondere con sanzioni alle prove di forza del regime. Tuttavia si tratta di misure mirate e individuali contro notabili del regime ritenuti responsabili delle violenze (la lista dovrebbe essere pronta, il Consiglio Ue potrebbe decidere già oggi, ndr), ma non misure generali che indebolirebbero l’economia, che già non funziona, e colpirebbero pesantemente la popolazione. Ricordiamoci che l’economia bielorussa è messa male perché collegata alla Russia, e il Pil è già cominciato a crollare nel 2019 quando la domanda russa è calata”.
Sono soprattutto queste connessioni economiche, fisicamente fotografatili col gasdotto Yamal-Europa e la pipeline Druzhba, amicizia, che però rendono la Bielorussia un fondamentale cuscinetto geopolitico verso l’Occidente. Ragione per cui Mosca non accetta di perdere la sua sfera d’influenza nel paese, non necessariamente appoggiando Lukashenko, come detto. A questo Putin – che non vede in strada bandiere europee e non sente nelle opposizioni toni anti-Russia – più che all’intervento militare potrebbe pensare a partecipare al processo di transizione del paese, fase nella quale è certamente importante il dialogo con l’Europa.