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Perché sul lavoro Bonomi è stato coraggioso. Lo spiega Maurizio Sacconi

E bravo Bonomi! Ha ricevuto pressioni per essere più accomodante e per tutta risposta ha alzato il livello del contenzioso con il governo. Da sindacalista degli imprenditori, non da politicante. Lo ha fatto su uno spettro ampio di temi ma con particolare attenzione alla materia da sempre più scomoda in Italia. Il lavoro. Scomoda quando se ne vogliono mettere in discussione gli assetti costituiti. Non ha chiesto solo la fine del divieto di licenziare ma si è preoccupato della efficacia degli strumenti di sostegno al reddito in funzione del ricollocamento dei disoccupati. C’è perfino piccola pignoleria nelle sue proposte come la separazione dei compiti tra i ministeri del Lavoro e delle Attività produttive, che già nei fatti si è prodotta, a proposito delle crisi aziendali.

Così come torna la illuministica idea ricorrente della razionalizzazione degli ammortizzatori sociali, sempre smentita dalle stesse imprese, una volta avviata, perché la realtà non si stanca mai di presentarsi più complessa di ogni semplificazione. Ha ragione tuttavia Bonomi di chiedere chiarezza (e riduzione) sugli oneri a carico delle imprese che dovrebbero essere più correttamente corrispondenti alle prestazioni assicurative ordinarie, lasciando alla fiscalità generale la copertura di ogni spesa indotta da cause esogene.

Ma la scelta più coraggiosa riguarda la richiesta di mettere in discussione lo scambio tra remunerazione e orario e in questo modo tanto la funzione del contratto nazionale quanto le ipotesi di riduzione dell’orario a parità di salario. Bonomi va oltre la novecentesca armatura delle relazioni di lavoro, guarda a modi di produrre sempre più intelligenti e flessibili, vuole promuovere la professionalità nei dipendenti come in coloro che sono costretti a transitare ad un altro lavoro, cerca la maggiore produttività delle imprese di fronte ai dati sconfortanti di casa nostra.

Questo non significa cancellare i contratti nazionali. Magari concentrarli e dedicarli a tutto ciò che fa i lavoratori uguali come alcuni fondamentali diritti-doveri o come l’accesso a tutele sociali di tipo complementare. Ma lo scambio che sostiene il salario non può che realizzarsi in prossimità. Lì ove si possono concordare piattaforme per misurare le prestazioni lavorative e i loro risultati anche al di fuori del perimetro aziendale. O sempre lì ove, periodicamente e a seguito di percorsi formativi, si possono certificare le competenze. E ancora lì ove la produttività si può misurare non come media statistica. C’è tanto nelle nove pagine che Bonomi ha voluto distribuire a tutte le imprese associate chiedendone la mobilitazione come la si chiede ad un caldo movimento di persone fisiche più che a una fredda organizzazione di persone giuridiche. Di questi tempi non è poco.


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