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M5S e Pd, finalmente alleati (o forse no). Lezione del prof. Pasquino, da leggere

Partito è qualsiasi organizzazione che presenta candidature alle elezioni, ottiene voti e vince cariche. Non importa che abbia uno statuto o un algoritmo. Qualcosa dovranno dire i suoi candidati e dirigenti su quello che vorrebbero fare. Non sarà un vero programma, ma pulsioni e emozioni. Poi giunti a contatto con le istituzioni e entrati in Parlamento gli eletti capiranno presto che nella scatoletta non ci sono solo tonni, ma pesci di lungo corso e di varia dimensione, anche pescecani, sorridenti. Non basterà l’apriscatole per muoversi in quella istituzione. Forse qualche pentastellato l’ha capito, ma nell’insieme il Movimento oscilla paurosamente, da far paura.

Servirebbe una bussola che solo una cultura politica (e istituzionale) può fornire. In mancanza, la bussola diventerà opportunismo, qualche volta doloroso, spesso confuso. Per evitare la mannaia dei limiti ai mandati (due) è già stato inventato il mandato zero, che, a suo tempo, sarà seguito, profetizzo, dal mandato doppio zero. Senza uno straccio, non di prova, ma di riflessione, si sosterrà molto “ardittamente”, che meno (parlamentari) è meglio (cosa non lo so). Si potranno fare alleanze a destra e a sinistra, anche perché, notoriamente, né l’una né l’altra esistono più. Che il più recente alleato), il Pd, sia (stato) disposto ad accettare il taglio dei parlamentari, più o meno opportunisticamente, rivela soltanto che in quel partito tutte le ibridazioni, contaminazioni, convergenze non hanno prodotto nessuna cultura politica di una qualche rilevanza, che serva, da un lato, a raggiungere e conservare gli elettori, dall’altro, a trovare alleati e costruire coalizioni.

Logica conseguenza è che qualcuno, non pochi, fra i dirigenti democratici, addirittura auspica un accordo organico con i Cinque Stelle, altri più prudentemente si limitano ad aspettare il ballottaggio a Roma per convergere eventualmente su quel sindaco fenomeno di nome Virginia Raggi, esentata dal limite ai mandati. Solo indirettamente ne consegue un effetto positivo: accountability. Raggi dovrà/potrà rendere conto di quello che ha fatto, non fatto, fatto male. Ma il Pd di che cosa vorrà rendere conto nella sua campagna elettorale? Della sua spregiudicatezza, dei suoi ondeggiamenti, della sua sua mancanza di principi e, per l’appunto, di cultura politica? Sotto l’etichetta “democratico” non c’è niente. Forse non c‘è mai stato niente. Un giorno sarà interessante discutere della cultura politica dei Fondatori. Se qualcuno, però, volesse già provarci, avrebbe subito il mio “daje”.

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