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Lo stop ai licenziamenti è un errore da matita blu. La versione di Martone

Vietato licenziare, rischiando una bolla sociale nel 2021. O farlo, restituendo il mercato alle sue leggi naturali, ma andando incontro all’ira dei sindacati. Forse è più di un dubbio quello che ha agitato un governo e un premier fino a poche ore fa. La strada sembrava tracciata: ancora una proroga della moratoria sui licenziamenti fino a fine anno. Poi però, qualcosa è cambiato, anche se alla fine l’intesa è arrivata, ma sempre di proroga si tratta.

Ieri, l’altolà di Confindustria. Guai a pietrificare l’economia fino a fine anno, impedendo alle imprese di effettuare ristrutturazioni e riorganizzazioni con cui sopravvivere. E poi il problema, secondo gli Industriali, sarebbe solo rimandato e a gennaio ci sarebbe un bagno di sangue. Lo stesso economista ed ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha espresso più di un dubbio sul blocco, invitando l’Italia ad allinearsi alle scelte degli altri Paesi d’Europa. Poi ci sono i sindacati, che minacciavano lo sciopero generale in caso di mancata proroga. Il risultato, arrivato nel pomeriggio al termine di un duro confronto interno alla maggioranza, è una “sintesi” per dirla con le parole di Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia. E cioè che lo stop ai licenziamenti prosegue, ma fino a metà novembre. C’è però il fattore Cig. In altre parole, un’azienda non potrà licenziare prima della scadenza delle 18 settimane di Cig o sgravi contributivi aggiuntivi previsti dal decreto Agosto sul tavolo del Cdm domani, ma a decorrerenza dal 13 luglio. Dunque la possibilità di licenziare scatterebbe da 15 novembre in avanti e quindi un mese in più rispetto alla bozza iniziale del decreto, che la fissava al 15 ottobre. Insomma, la proroga c’è tutta.

UNA BOLLA INDUSTRIALE

“Un errore”, chiarisce a Formiche.net Michel Martone, economista, giuslavorista ed ex viceministro del Lavoro nel governo Monti, di recente nelle librerie con il saggio A che prezzo. L’emergenza retributiva tra riforma della contrattazione collettiva e salario minimo legale. “Funziona un po’ come nella psicanalisi, se si rimuovono i problemi, la loro rimozione non fa altro che rimandare la soluzione agli stessi problemi, che poi si ripresentano più gravi di prima. E adesso sta succedendo esattamente questo, di decreto in decreto non facciamo altro che rinviare la realtà di un sistema produttivo che non solo ha perso quote importanti di mercato, ma quest’anno perderà anche molto Pil. Il risultato è che si sta impedendo quella riorganizzazione industriale su larga scala che è la base per vincere la competizione internazionale”, spiega Martone.

“Se noi congeliamo la situazione, più tardi verrà tolto il blocco e più tardi avverrà la ristrutturazione, sprecando mesi preziosi. C’è poi un altro tema, che è quello dell’eccesso di finanziamento alla Cassa integrazione e agli ammortizzatori sociali. Una proroga consumerà nuove risorse, impedendo al sistema produttivo di ricevere invece il sostegno di cui ha bisogno, con l’effetto finale che quando il muro sui licenziamenti cadrà, non ci saranno più soldi per le imprese e nemmeno per gli stessi ammortizzatori sociali”, chiarisce l’ex viceministro. Nella sostanza “il governo ha messo le imprese in una sorta di bolla, impedendo loro di riorganizzarsi nel momento in cui erano ferme a causa del lockdown, con la giustificazione che potevano collocare i dipendenti in cassa integrazione”. Naturalmente, nemmeno la proposta di allacciare lo stop ai licenziamenti alla Cig, convince Martone. “Una linea che può anche essere ragionevole, ma forse andava detto per tempo. Ci stiamo forse dimenticando di un aspetto. E cioè che qualunque provvedimento legislativo in questo senso dovrà necessariamente fare i conti con la libera iniziativa economica prevista dall’articolo 41 della Costituzione”.

IL REBUS SINDACATI 

Di sicuro, i sindacati sono sul piede di guerra, pronti allo sciopero generale. “Non è il caso di esasperare gli animi”, premette Martone. “I lavoratori vengono da mesi durissimi. Però non è non guardando al problema che lo stesso problema si potrà eludere, la questione deve essere affrontata. Si parla di autunno caldo, ma se non sarà caldo l’autunno, sarà caldo gennaio e se non sarà caldo gennaio allora lo sarà marzo: è tutta una questione di tempo, ma una cosa è certa: quando la bolla finirà, scoppiando, dovremo fare i conti con la realtà. E allora perché rimandare tutto?”.

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