Su Repubblica di oggi Stefano Folli firma un’analisi politica sul ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che nei giorni scorsi ha alzato i toni in un’intervista sul CorSera durante la quale ha dichiarato che bisognerebbe “mettere fuori uso” i barconi che partono dalla Tunisia. Vettori del traffico di uomini verso il nostro Paese, la dichiarazione diventa per Folli vettore di dinamiche interne al governo. Di Maio, spiega l’editorialista di Rep, avrebbe “alzato la voce” per non far sfuggire il dossier tunisino dalla Farnesina, facendolo entrare nella sfera del Viminale. Ancor più, per evitare di subirne i contraccolpi propagandistici targati Lega.
Possibile, ma altrettanto possibile che dagli Esteri si percepisca maggiormente l’esigenza di affrontare la situazione con Tunisi in modo più ampio. Ossia evitare la miopia dell’emergenza — dettata anche da paranoie politiche nel confronto del claim storico delle opposizioni — e allargare l’orizzonte. La Tunisia è un dossier complesso: la rottura dei dis/equilibri interni può creare un effetto domino devastante a poche dozzine di miglia nautiche dalla Sicilia. La crisi libica e l’instabilità algerina, e agli estremi l’Egitto e il Marocco, sempre problematici, chiudono il quadro di un potenziale bubbone sull’altra sponda del Mediterraneo che alla Farnesina intendono affrontare in un modo complessivo.
A novembre dello scorso anno, fonti governative libiche hanno fatto notare a Formiche.net che l’Italia stava perdendo iniziativa e interesse per la crisi militare aperta dai ribelli attorno a Tripoli perché “Roma ormai cerca la Libia solo per parlare di immigrazione”, dicevano i libici: un atteggiamento unidirezionale non troppo apprezzato. Di Maio, che anche recentemente ha trattato in modo diretto il dossier, potrebbe aver aver fatto tesoro e compreso questa necessità allargata alla Tunisia. Nella crisi istituzionale, la sicurezza e l’aiuto verso la stabilità è l’obiettivo che va oltre l’immigrazione e che si porterebbe dietro la soluzione anche del flusso migratorio come minima conseguenza. Diversamente il rischio è di trovarsi davanti una crisi enorme, articolata su più livelli, e di carattere regionale. Qualcosa che va ben oltre alle beghe interne a Parlamento e governo italiano. Aiutare la Tunisia è un interesse nazionale assoluto, lanciato già mesi fa quando si parlava, a Roma come in Europa, di un Piano Marshall per Tunisi, come scriveva su queste colonne Paolo Messa. Esigenza geopolitica cruciale per un paese come l’Italia proiettato in mezzo al Mediterraneo.