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Perché è urgente digitalizzare la didattica. Scrive il prof Zecchini

Nei suoi Saggi del 1580-1588 Montaigne scriveva che l’uomo deve sempre studiare, ma non sempre deve andare a scuola. Che osservazione appropriata alle discussioni di questi giorni sulla ripresa delle lezioni in aula! Tra meno di un mese le porte delle scuole dovrebbero riaprirsi agli studenti e quindi molti si interrogano sul se si è veramente pronti all’evento in condizioni sufficienti di sicurezza.

Più si avvicina quel giorno e più aumentano preoccupazioni e polemiche. Come sovente accade, le discussioni si concentrano sui dettagli più immediati: i banchi singoli, l’affollamento delle aule, gli strumenti per mantenere il distanziamento, i presidii igienico-sanitari, lo scaglionamento degli orari ed i problemi della didattica a distanza.

Tutti aspetti rilevanti, ma focalizzati su soluzioni tampone in mancanza nei governanti di una visione di insieme e prospettica su come dovrebbe impostarsi la didattica nei prossimi anni. Il problema sollevato repentinamente dall’epidemia non è altro che l’ennesimo segnale dell’urgenza di un ripensamento del sistema didattico, se non dell’intero sistema di istruzione, alla luce dei rapidi avanzamenti nei mezzi di comunicazione ed interazione sociale, e dell’impatto delle nuove tecnologie su tutti i segmenti della vita sociale ed economica.

In una visione d’insieme sul da farsi, non soltanto per non ricadere nella situazione penosamente vissuta nello scorso semestre, andrebbero considerati alcuni punti di gran peso:

a) in caso di impennata dei contagi, quale alternativa ha in serbo il governo per minimizzare l’impatto sulle famiglie e sul lavoro di una possibile, nuova chiusura delle scuole;

b) come modernizzare la didattica per adeguarsi ai cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie;

c) come disporre di docenti all’altezza dei nuovi sviluppi;

d) come riuscire a elevare i livelli del sapere degli studenti nei campi essenziali per la crescita tanto economica che sociale? Su ciascuno di questi aspetti si sono accumulati diversi segnali che non si possono trascurare, se non si vuole lasciar aggravare il problema.

Le famiglie esprimono un giudizio complessivamente negativo sull’esperienza della didattica a distanza (Dad) per i loro figli, come risulta da alcune indagini. Una recentissima di un gruppo di studio dell’Università Bicocca di Milano ha coinvolto 6.900 genitori (con circa 10 mila figli studenti), in maggioranza donne, più residenti nel Nord Italia che nel Sud, di differente livello d’istruzione ed occupazione.

Ne emergono le pecche della Dad finora applicata: carenza di socializzazione con i compagni, aggravio di studio in autonomia e di compiti, necessità di supporto dei genitori per integrare l’insegnamento, sconvolgimento della vita familiare, carenza di ambienti appropriati per lo studio, ed altro. Negli studenti si notano, inoltre, reazioni emotive negative, frustrazione, noia, bisogno di aiuto.

In breve, un’esperienza negativa da non ripetere, anche perché ritenuta da due terzi dei genitori non conciliabile col lavoro, né sostenibile, seppure combinata con la didattica di presenza.
Va nondimeno riconosciuto che alcuni effetti positivi si sono ottenuti. In specie, le famiglie hanno scoperto d’un tratto l’importanza di introdurre la digitalizzazione anche a casa, di prestare attenzione al loro ruolo nell’apprendimento dei figli, di far ammaestrare i figli nell’uso di strumenti e tecniche digitali, e di bilanciare meglio i tempi di studio con quelli per altre attività.

I giudizi negativi in parte sono dovuti ai difetti della estemporaneità nella transizione a una didattica innovativa, sommati alla clausura in casa, ma principalmente riflettono carenze di più lungo impatto e di carattere sistemico. Negli anni trascorsi lo Stato ha stanziato fondi per la digitalizzazione delle scuole, ma sono stati utilizzati parzialmente e spesso in maniera inefficiente. Molte scuole sono in gran ritardo, o non intendono usare quei fondi per problemi organizzativi interni, oppure perché impreparate.

Laddove si sono usati, i mezzi acquisiti sono risultati presto obsoleti per via della rapidità dei progressi tecnologici, le tecniche didattiche inadeguate perché si sono innestati nuovi strumenti su metodi vecchi piuttosto che riorganizzare la didattica, e l’esposizione degli studenti alla didattica digitale limitata a ristretti numeri.

Una parte di questi insuccessi è da ascrivere all’insufficienza nel Paese delle infrastrutture di connessione e alle carenze degli apparati digitali negli istituti, benché da diversi anni si sia riconosciuto il problema, ma si continua a discutere sul se rete unica o reti in concorrenza, rete pubblica o rete privata, assetto societario aperto o chiuso a investitori privati ed altro. Interminabili discussioni quando sono sotto gli occhi di tutti il successo del modello rappresentato da Terna per la rete di trasmissione elettrica, e l’incalzare del passaggio al 5G, tecnologia che gioverebbe all’insegnamento on line.

In una società in una rapida evoluzione sospinta dal progresso tecnologico, con disponibilità di strumenti molto efficaci di insegnamento e verifica del sapere, è l’intera didattica nelle scuole che va rifondata e quella a distanza deve integrarsi in un nuovo sistema non come estemporanea esigenza imposta dalle circostanze, ma come componente di un nuovo metodo che integri l’insegnamento in aula sia con l’uso di moduli digitalizzati di lezioni tenute da esperti selezionati, sia con l’apprendimento a distanza.

Un approccio del genere può fare tesoro delle esperienze parziali già fatte anche prima del lockdown e del materiale didattico digitalizzato disponibile, oppure di quello da assegnare alla preparazione dei docenti e da rendere disponibile su scala nazionale. Ad esempio, nei mesi scorsi Rai Scuola ha trasmesso numerosi moduli di lezione su argomenti di studio per l’istruzione secondaria, moduli condensati in mezz’ora, di notevole qualità, preparati da docenti di istituti di varie parti del Paese.

Altri moduli sono disponibili sul mercato ad opera di enti privati. A titolo illustrativo, una lezione potrebbe comporsi nella prima mezz’ora del modulo digitalizzato e nel tempo restante delle ulteriori spiegazioni del docente da scuola e delle sue risposte ai quesiti degli studenti. Questa interlocuzione docente-discente potrebbe avvenire alcune volte direttamente in aula, altre volte a distanza a seconda dell’età dello studente.

Per quelli delle scuole primarie e secondarie di primo livello, la presenza in aula sarebbe necessaria in quanto necessitano di un’assistenza ravvicinata che i genitori nel tempo di lavoro non possono fornire direttamente. Per quelli della scuola secondaria di secondo livello, in considerazione del raggiungimento della capacità di autogestirsi, la componente di Dad è applicabile, mantenendo sempre alcune giornate di interlocuzione in presenza dell’insegnante. Il nuovo approccio di didattica permetterebbe di accrescere i livelli di produttività del docente, di aumentare il numero di studenti esposti a un insegnamento di qualità e di ridurre l’affollamento delle aule ed i costi dell’istruzione.

Naturalmente, in periodi di elevato rischio epidemico, bisogna lasciare più spazio ai moduli digitalizzati e all’apprendimento a distanza, ma per i più giovani è sempre necessario che l’insegnamento avvenga in apposite strutture pubbliche a basso rischio di trasmissione del virus, che si possono attrezzare a scuola o fuori.

Una didattica nuova postula una classe di docenti con nuovi tipi di formazione, particolarmente nel digitale, e una schiera di tecnici in grado di garantire il buon funzionamento dei mezzi digitali. Quest’ultimo servizio può essere fornito da ditte private appositamente selezionate, mentre la formazione deve essere responsabilità congiunta del soggetto pubblico e dell’insegnante. Si è visto spesso che quest’ultimo assume un atteggiamento passivo, restando in attesa che corsi di formazione gli vengano somministrati dall’alto, dal soggetto pubblico.

L’adeguamento delle competenze per migliorare l’insegnamento è, invece, responsabilità primaria del docente, il quale è tenuto ad aggiornarsi continuamente sulle nuove tecniche e a sperimentarne la validità con gli studenti. Sul soggetto pubblico incombe, piuttosto, determinare alcuni campi verso cui orientare l’attività formativa rivolta ai docenti, concorrere col privato all’offerta di formazione di qualità, coprire buona parte dei costi e verificarne gli esiti in termini di nuove competenze acquisite dai docenti. In breve, il docente deve ritenersi corresponsabile del suo avanzamento nel padroneggiare nuovi strumenti e tecniche didattici, agendo sia di iniziativa autonoma, sia condividendo gli oneri con il soggetto pubblico, sia sottoponendosi a verifica di quanto appreso.

Elevare il livello del sapere degli studenti è, in ogni caso, l’obiettivo ultimo del rinnovamento della didattica e la sfida più difficile da affrontare, perché si deve prender atto dei bassi livelli ottenuti con le metodiche attuali e della necessità di sviluppare nuovi approcci per incitare ed agevolare i giovani nell’apprendimento. I risultati dei test Pisa dell’Ocse e quelli Invalsi sono di tutta evidenza: nelle prove del Pisa, tra il 2000 e il 2018 la performance degli studenti di 15 anni mostra nel tempo punteggi medi altalenanti, con cali nel 2018 nella comprensione della lettura e nelle scienze e un miglioramento continuo in matematica, ma il livello complessivo si colloca sotto la media dei paesi Ocse nelle prime due ed entro la fascia media nella terza.

Sono, tuttavia, da considerare le importanti differenze rilevate tra il Nord e il Sud. I risultati delle prove Invalsi confermano il quadro: un 30% di studenti non raggiunge i risultati attesi in Italiano e il 38% in Matematica. Purtroppo, motivare la massa degli studenti a impegnarsi maggiormente è arduo in un sistema scolastico in cui le bocciature sono rare e la selezione quasi inesistente. L’effetto si rileva alla fine degli studi, quando in sede di esami finali si riscontrano deficit estesi nella padronanza della grammatica e della sintassi, nell’argomentare con logica e nelle conoscenze basilari di matematica e scienze.

L’emergenza Covid offre, quindi, un’occasione unica per avviare un profondo rinnovamento della didattica, che sfrutti al meglio le tecniche digitali e si coniughi con la revisione dei curricula delle materie, del sistema di istituti professionalizzanti e dell’organizzazione delle scuole.



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