Il ventitreesimo uomo in campo è il Coronavirus. Gioca in tutti i ruoli, occupa tutti gli spazi, semina qualunque avversario, va a rete con una facilità mai vista. Può giocare perché non altera il numero dei calciatori. È invisibile. Ma decisivo. Può decretare la fine della partita come e quando vuole. Fa irruzione nel campionato di calcio di serie A già da oggi e nelle prossime settimane in quelli minori. Tremano tutti. Perfino quelli che non ci potranno essere sugli spalti. Fino ad un minuto prima dell’inizio delle partite si teme l’annuncio fatale: qualcuno trovato “positivo”, contagiato, manda a monte l’incontro. Si resta negli spogliatoi e ci si riveste per tornare a casa. Fino al prossimo turno che chissà quando verrà disputato. Il calcio al tempo del Covid-19 è l’epifania dell’incertezza. Almeno fino a quando il vagheggiato vaccino non metterà al riparo (si spera) tutti.
Ed è per questo il più incerto campionato della storia del calcio. Si spera, ma nessuno crede davvero che possa essere un campionato lineare, libero: che non venga in qualche modo “falsato” dal virus. Intanto, però, si gioca. La normalizzazione lo richiede. Ed è giusto che sia così.
Con sprezzo del pericolo e del rischio. No, non saranno ventidue eroi, più gli aggregati che partono dalla panchina in campo, ma certamente a tutti va riconosciuto il coraggio nel gettarsi nella mischia con quella innocente consapevolezza che ne fa, almeno in questa occasione, qualcosa in più di semplici calciatori. Sono atleti che, al netto degli stipendi milionari, danno prova di come si può convivere con la paura e giocarci, tentando dribbling arditi, i più arditi possibili, contro un avversario che non si conosce e che non si vede.
NEUTRALIZZARE L’ALIENO
È il tempo della gioia frenata, della sfidante passione contro la mostruosità, del football che si gioca al di là delle regole con il timore che provoca scariche adrenaliniche. È il campionato del Coranavirus le cui regole non scritte avranno ragione dei fischi arbitrali, della Var e della tecnica individuale e collettiva. Le squadre che scenderanno in campo avranno un’unica arma a disposizione: neutralizzare l’Alieno con le armi della strafottenza e del rischio, toglierselo dai piedi e soltanto quando l’avranno superato lanciarsi nella mischia per conquistare i tre punti o non perderli. La testa altrove, il cuore più caldo del solito ed un immaginario salto nel cerchio di fuoco dell’incoscienza, come in una guerra.
In questo mondo impazzito, ci toccava vedere anche questa. Per qualche tempo, si è giocato sotto i bombardamenti, davanti a tiranni che truccavano le competizioni, al servizio di regimi irragionevoli e sanguinari. Ma mai s’era vista una partita di pallone con il virus. E allora auguri, a tutti coloro che negli stadi vuoti lanceranno innanzitutto una sfida a se stessi e poi agli avversari.
Il calcio – l’abbiamo sostenuto una quantità infinita di volte – non è soltanto uno sport: è la misura della vita con finalità ludiche.
Ma a parte questo non trascurabile particolare, che campionato sarà? Si fanno pronostici. A noi non piacciono. Tutto può accadere. Perfino che torni ad essere il “campionato più bello del mondo”, quando vi militavano i principi del calcio capeggiati dall’ineguagliabile Diego Armando Maradona. Ma sarà difficile appassionarsi ad uno spettacolo i cui interpreti, tranne qualcuno già avanti con gli anni, sono piuttosto di seconda e terza fila. Non c’è una squadra che abbia allestito il proprio organico in maniera tale da indurre gli appassionati ad attendere, come nel passato, il primo fischio dell’arbitro con l’ansia consueta.
I FUORICLASSE
Il meglio sono i superstiti dell’impresa di Marcello Lippi nel 2006, la vittoria del Mondiale, e non scendono in campo perché fanno gli allenatori: Pirlo e Gattuso, Camoranesi in Slovenia e Cannavaro che miete successi in Cina, Inzaghi a Benevento; poi Nesta con Oddo in B e Gilardino in D, dopo che anche Fabio Grosso ha assaporato le gioie ed i dolori del ruolo. Ognuno ha una sua personalità, i suoi schemi, le sue idiosincrasie, il suo carattere umano e sportivo: sono stelle in un firmamento di giocatori piuttosto modesto, se si eccettuano l’inarrivabile Ronaldo, il redivivo Ibraimovich, l’eterno Koulibaly, l’inossidabile Quagliarella, il portentoso Lukaku, il fromboliere Mertens e pochi altri arrivati da sconosciuti e subito elevati agli altari. Ma il “colpo” non c’è stato a meno di non voler considerare tale il nuovo centravanti del Napoli, prelevato dal Lille, Osimenh, pagato la bellezza di ottanta milioni di euro: li varrà? È la cifra più alta che è stata pagata quest’anno. Niente da fare, almeno per ora, per portare Suarez alla Juventus e soprattutto il bagliore di Messi è sparito nel bel mezzo di un mattino di fine estate: non illuminerà San Siro, almeno quest’anno.
Non si sa per quale motivo, ma molti fuoriclasse (non sono molti in verità in circolazione) si tengono lontani dal campionato italiano. C’è qualcosa che non convince nella gestione del football nostrano. Avremo modo di approfondire durante lo svolgimento del campionato.
Per ora ci limitiamo a dire, rientrando nel più vasto fenomeno mondiale del primato dell’economia sul gioco, che le casse delle società sono piuttosto vuote (brilla il Napoli per oculatezza e parsimonia, ma poi si vedono pure i risultati), mentre le tasche dei calciatori sempre più piene, per non parlare di quelle dei manager. La finanziarizzazione del football è uno degli aspetti più inquietanti del movimento calcistico internazionale. E con esso l’omologazione nel modo di giocare: non ci sono più le “scuole” che caratterizzavano nazioni ed aree geografiche. I sistemi sono gli stessi. Ad ogni latitudine si gioca allo stesso modo. E perciò la passione che animava il calcio sudamericano è un ricordo di tempi andati, come di quello danubiano e perfino del football inglese. Giocano tutti alla stessa maniera. Guardate la Champions League: qualsiasi squadra potrebbe appartenere allo stesso Paese; non c’è attrattiva per l’eccentrico. E non mi riferisco ai miti di Pelé, Maradona, Garrincha, Puskas, Di Stefano, Sivori, Jack Charlton, Zamora, ecc. ma anche molto più vicino a noi ricordiamo che il calcio africano per una breve stagione ci ha dato l’illusione che un altro football potesse conquistare ampie platee mondiali. Poi se ne ne sono venuti tutti in Europa per andarsene con il portafogli gonfio ed una passione tradita.
Vedremo il solito calcio noioso, lento, eccessivamente tattico anche in questo campionato? È probabile. Con qualche fuoco fatuo che si accenderà per spegnersi nell’indifferenza dei tifosi. Saranno piuttosto le squadre appena arrivate in A a regalarci probabilmente qualche brivido. Benevento, Crotone e Spezia, sono bene attrezzate. Soprattutto i sanniti, che hanno disputato un campionato di B macinando tutti i record possibili ed immaginabili, hanno attrezzato una compagine che può competere a livello medio alto se Inzaghi riesce a far tenere a tutti il passo della scorsa stagione.
CALCIO E FINANZA
Quanto alle previsioni, sono piuttosto facili. Esaminando gli organici, le candidate a contendere il primato alla solita Juventus che punta al decimo scudetto consecutivo, sono l’Inter, la Lazio, probabilmente il Milan, e poi l’Atalanta, la Roma ed il Napoli, a meno di sorprese che nelle retrovie potrebbero manifestarsi per vivacizzare un campionato nel quale si gioca più per conquistare un posto in Champions League ed in Europa League che lo scudetto: sono soldi dei quali sei o sette squadre hanno terribilmente bisogno. Non tanto la gloria muove i club, quanto l’acquisizione di risorse che nel calcio globale, nella mondializzazione di uno sport come il football, sono assolutamente indispensabili per competere e restare ai vertici delle classifiche nazionali ed internazionali.
Piace poco, ammettiamolo tutti, il circo del calcio orchestrato dalla finanza. Piace ancor meno – e non siamo dei moralisti – che ragazzi di poco più di vent’anni dopo tre o quattro partite disputate a buon livello diventano dei feticci a cui elevare quasi degli altari e riempirli di soldi. Ci fa orrore che nessuno rispetti i contratti fino alla scadenza e si assista per tutto l’anno ad un indecente mercato di fronte al quale quelli dei buoi di antica memoria ci appare come un minuetto viennese. In tutto questo chi va e chi viene sa che cosa lo aspetta. I risultati sono quelli che contano. Se n’è reso conto un giocatore modesto portato in trionfo dove i trionfi sono facili, a Napoli, Gonzalo Higuain finito in una squadra dal sicuro glamour, ma dall’incerto appeal, l’Inter di Miami dell’ex-stella del Manchester United David Beckham. Non certo a costo zero.
Ronaldo, intanto, sempre più padrone della Juve ancora per quest’anno prenderà per mano i bianconeri e li poterà fin dove potranno. Possono aspirare a tutto, ma vincere…
Il campionato che inizia oggi non ci entusiasma, ma senza non possiamo stare. Speriamo che gli ultimi saranno i primi e che qualche stellina accenda passioni antiche piuttosto appassite.