I numeri ci sono: 209 miliardi. Ma intorno al Recovery Fund, ormai a pieno titolo nel dizionario aggiornato all’era Covid, ci sono ancora delle zone d’ombra. Se la lista degli interventi è ormai abbastanza certa (dalla digitalizzazione all’energia pulita passando per la banda larga e i trasporti), manca ancora un po’ di chiarezza per quanto riguarda la possibilità di rivedere la tassazione sulle imprese. Il governo, non è un mistero, preme affinché si faccia leva sulle risorse del Recovery Fund al fine di ridurre il carico alle aziende. Per l’Europa invece la priorità sono gli investimenti e poi, solo in seconda battuta, le tasse. E pensare che il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha aperto a un possibile riassetto fiscale, auspicando per l’autunno un piano comunitario su fisco e imprese, per una riallocazione tributaria su larga scala. Una linea su cui è sostanzialmente d’accordo Innocenzo Cipolletta, economista dal passato confindustriale e oggi tra le altre cose presidente di Assonime, l’associazione delle spa italiane. Perché un conto è rimodulare le tasse sulle imprese, un conto è ridurne il peso.
Cipolletta, tra un mese il piano di riforme italiano sul tavolo di Bruxelles. Conte e Gualtieri puntano a far passare un intervento sul fisco a vantaggio delle imprese. Lei che ne pensa?
Ho l’impressione che se ci sarà una rimodulazione fiscale avverrà attraverso il bilancio europeo e credo che anche il governo punti a questo. Voglio dire, una parte della spesa italiana che va nel bilancio Ue sarà sostenuta dal Recovery Fund e con quelle risorse si potrebbe pensare di intervenire sul fisco. Però detto questo io continuo a pensare che un Paese con un debito così alto come l’Italia non possa permettersi di ridurre la pressione fiscale.
Crede davvero che l’Italia non abbia bisogno di meno tasse?
Sto dicendo che se si vuole fare qualcosa si può procedere con una redistribuzione del peso fiscale in modo certamente più equo e sostenibile sul Paese. Ma non vedo il senso di fare più debito ora, riducendo le tasse attingendo questa o quella risorsa, per poi ripagarlo domani. Non ne vale la pena francamente. Vedo molto più sensato portare avanti una seria e credibile lotta all’evasione e poi con quei soldi tagliare le tasse. Comunque c’è poi il discorso dell’imposta sulla prima casa.
Sarebbe?
Siamo l’unico Paese che non ce l’ha e se per esempio la re-introducessimo allora potremmo pensare di rimodulare l’Irpef. Come ho detto, operazioni di rimescolamento delle imposte sì, si possono fare anzi si devono. Ma tutto il resto mi pare quantomeno inopportuno.
Scusi se insisto sulle imprese. Se dovessimo fare un po’ di chirurgia fiscale, da dove potremmo partire?
Premesso che ribadisco il mio punto di vista, niente tagli ma solo rimodulazione. Detto questo la via principale è un’ulteriore riduzione dell’Irap, fino a farla scomparire del tutto un giorno e sostituirla con altre imposte. Anche perché, a differenza del passato, oggi l’Irap non serve più a finanziare la sanità. Si tratta di una tassa rimasta a metà, poco sensata forse e per questo occorre azzerarla un giorno o l’altro.
Cipolletta qualche osservatore ha fatto notare nei giorni scorsi come l’utilizzo dei soldi del Recovery Fund gonfierà ulteriormente il nostro debito. Siamo sempre convinti che ne valga la pena?
Può scommetterci. Ricordiamoci che il debito pubblico è salito in tutti i Paesi, mica solo da noi. Alla fine non è un danno usare il Recovery Fund, il debito pubblico italiano è aumentato così come è aumentato il debito di altri Paesi. E poi scusi, non ci dimentichiamo del grande lavoro fatto dalle banche centrali finora e che anche nei prossimi mesi sosterranno i debiti sovrani acquistando titoli di Stato. In questo momento il Recovery Fund è l’unica soluzione, anche se, come ho detto prima, l’attuale debito non ci consente di ridurre le tasse.
Che ne pensa del sondaggio indetto dal ministro per l’Ambiente, Sergio Costa, con cui aumentare le accise sul carburante diesel?
Evidentemente qualcuno ha paura di vedere per strada anche in Italia i gilet gialli. Scherzi a parte, dico che in Italia bisogna andare verso una transizione verde e il regime fiscale deve in ogni modo assecondare questo cambiamento. Comunque trovo curioso consultare l’opinione pubblica sulle politiche fiscali.
Cambiamo argomento. Pochi giorni fa il ceo di Mediobanca ha lanciato l’allarme sulle nuove norme imposte dalla Bce per la gestione degli Npl e dei relativi accantonamenti da parte delle banche. Il problema sembra di capire, c’è. Ma quanto è grave?
Il problema c’è ed è anche abbastanza grave, anche perché queste regole non sono state fatte ieri. Ora, è probabile che la stessa Bce possa post-porre tali vincoli, però onestamente con la crisi che stiamo vivendo c’è da aspettarsi un aumento delle sofferenze e allora mi pare che tanto valga far saltare le norme in questione.
Non crede che possa bastare un’applicazione più soft dei vincoli?
Assolutamente no. La banca oggi ha tutti gli strumenti per capire quando un credito va in sofferenza e regolarsi di conseguenza. Mettere degli standard non mi pare abbia alcun senso.
Cipolletta lei rappresenta le spa italiane. La più grande di queste, Cassa Depositi e Prestiti, si è mostrata molto attiva in questi mesi e presente in quasi tutti i dossier industriali di rilievo. Proprio oggi l’offerta su Borsa Italiana. Ma è sempre sana una simile effervescenza?
Diciamo che non c’erano molte possibilità alternative. L’Italia negli ultimi anni ha perso molta competenza sulle imprese a livello ministeriale. L’unica competenza è rimasta in capo alla Cdp, la quale finisce sempre per essere utilizzata laddove sarebbero servite altre soluzioni. Trovo questa concentrazione pericolosa ma più di ogni altra cosa trovo grave che il governo e le sue istituzioni non abbiano più, al netto della Cdp, la competenza sulle imprese che avevano un tempo.