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Libia, perché lo stallo sui pescatori diventa un peso per il governo

Prima di arrivare all’Auditorium Parco della Musica per partecipare all’Assemblea di Confindustria, il premier Giuseppe Conte ha incontrato una delegazione dei familiari dei pescatori di Mazara del Vallo, sequestrati in Libia. Si tratta delle diciotto persone (otto italiani e otto stranieri) d’equipaggio nei pescherecci “Antartide” e “Medina”, fermati dalle forze che rispondono al comando del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar. Sono tenute in ostaggio dal primo settembre e su di loro pendono accuse potenzialmente pesanti. Saranno processati dal tribunale militare di Bengasi, roccaforte haftariana, come ha spiegato ad Agenzia Nova il generale Mohamed al Wershafani dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna, la milizia di Haftar). Per ora si parla solo di sconfinamento non autorizzato – mentre stavano pescando il gambero rosso, in acque che la Libia considera arbitrariamente territoriali dai tempi di Gheddafi – ma potrebbero essere accusati di traffico di stupefacenti, che gli uomini di Haftar dicono di aver trovato a bordo delle imbarcazioni (non è chiaro quanto sia veritiera questa ricostruzione).

Conte ha incontrato le famiglie a Palazzo Chigi: meeting con cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri, Luigi di Maio. Da Bengasi – ossia da Haftar, che Conte e Di Maio hanno a lungo considerato un “interlocutore”, passando sopra a tutte le volte in cui il capo miliziano aveva già mostrato ostilità nei confronti dell’Italia – è arrivato una proposta di riscatto. Uno scambio. I libici della Cirenaica – gli stessi che hanno per anni bloccato il processo di pace dell’Onu e che lo scorso anno hanno provato a rovesciare con armi e sangue il governo onusiano di Tripoli – intendono scambiare i loro ostaggi con quattro connazionali arrestati dalla procura di Catania. I quattro secondo i cirenaici sono calciatori, in fuga per trovare fortuna in Germania: i magistrati catanesi però li ritengono responsabili di una vicenda tragica: la cosiddetta Strage di Ferragosto, quando i quattro, condannati dalla giustizia italiana come scafisti, avevano ucciso dozzine delle persone che portavano in Italia come migranti.

L’offerta è chiaramente irricevibile, ma è altrettanto chiaro che lo stallo sulla sorte degli italiani diventa un peso per il governo. Dimostrazione di poca influenza in Libia, di scarsa capacità di far leva – legata pure all’inaffidabilità di Haftar, per troppo tempo considerato un attore con cui dialogare, come faceva notare su queste colonne l’esperta Federica Saini Fasanotti. Ovviamente la partita di carattere internazionale, su cui il governo ha coinvolto anche Emirati Arabi, Russia ed Egitto (i principali sponsor haftariani) scivola sul livello inferiore del confronto politico interno. Ben oltre l’interesse nazionale sta la diatriba partitica: ma le opposizioni fiutano l’odore del sangue e sfruttano il caso per infastidire un esecutivo che fatica.

“Il nostro Paese non può in alcun modo permettere che propri concittadini restino nelle mani di autorità non riconosciute, si deve agire immediatamente per riportare a casa i nostri connazionali. Per tutti questi motivi ho presentato alla Camera dei deputati un’interrogazione al ministro degli Affari esteri, Luigi Di Maio, per sapere cosa sta facendo concretamente la Farnesina per garantire il rilascio dei due pescherecci e dei diciotto membri dell’equipaggio, tutt’ora trattenuti a Bengasi”, spiega Matilde Siracusano, deputata messinese di Forza Italia. “Nel silenzio generale del nostro Governo i marinai italiani sequestrati in Libia da tre settimane, e abbandonati dalle istituzioni italiane al loro destino, saranno processati da un tribunale militare. Si tratta di un fatto gravissimo, ancora più grave per il disinteresse del nostro ministero degli Esteri. Nel frattempo come se nulla fosse, i nostri porti rimangono spalancati ad ogni traffico proveniente da quel paese. L’Italia purtroppo è lo zimbello del Mediterraneo”, rilancia il leghista Paolo Grimoldi che non perde occasione di declinare la faccenda con un rimbalzo sulla questione migratoria.

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