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Contratti di lavoro, dalla omologazione alla premialità. La proposta di Sacconi

L’incontro tra Confindustria e sindacati non ha per ora chiarito la funzione dei contratti collettivi nazionali. La stessa vicenda del contratto degli alimentaristi, sottoscritto dalle sole associazioni rappresentative delle imprese maggiori, ha evidenziato la difficoltà di omologare l’intero comparto rappresentato da Federalimentare nel momento in cui la crisi dovuta al contagio ha prodotto profonde differenze nella capacità di reazione del settore.

Già qualcuno si interroga se sarà possibile evitare che l’accordo siglato diventi il necessario riferimento per tutte le aziende. Se, come ha invocato il vicepresidente di Confindustria Stirpe, fosse stata approvata una legge sulla rappresentanza, questa avrebbe irrigidito la contrattazione costringendo tutte le imprese all’unico perimetro di applicazione. Al contrario, il bravo giuslavorista Pietro Ichino ha ricordato che la Costituzione, sottolineando la libertà contrattuale, ha riservato alle sole parti sociali e non alla legge la duttile definizione degli ambiti di riferimento degli accordi collettivi.

Il mondo della produzione è sempre più diversificato e mal tollera scambi tra remunerazione e orario uguali per grandi platee. I temi della produttività e della professionalità, come rilevati dal presidente Bonomi, sollecitano intese di prossimità in modo che i salari riflettano i relativi incrementi nella dimensione aziendale o interaziendale. I sindacati oppongono a questa considerazione le molte aziende minori nelle quali non si sottoscrivono accordi virtuosi in questo senso. Diventa quindi necessaria la ricerca di soluzioni che i contratti nazionali potrebbero individuare attraverso clausole di salvaguardia per aumenti salariali destinati a scattare solo dopo che sia inutilmente decorso un certo tempo a disposizione delle imprese.

Un differenziale fiscale tra erogazioni determinate da questi accordi e quelle prodotte nelle singole imprese, incentiverebbe la virtuosa contrattazione decentrata. Nel primo caso tassazione piena, nel secondo aliquota “secca” al dieci per cento. In questo modo si genererebbe un incentivo agli accordi di prossimità. Bisognerebbe pertanto fermare l’ipotesi della detassazione degli aumenti definiti dai contratti nazionali perché utile solo ad incoraggiare la pigrizia contrattuale dei sindacati e delle singole imprese.

Può sembrare un gioco esoterico ma in realtà si tratta di transitare dalla negoziazione burocratica e ideologica dei (pochi) aumenti uguali per tutti ai (molti) incrementi funzionali a premiare la maggiore efficienza e competenza del lavoro.



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