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Sul Recovery Fund Conte faccia come Einaudi. Parla Quadrio Curzio

L’Italia del dopoguerra non è tanto diversa da quella di oggi. Un Paese profondamente cambiato e con un’economia da ricostruire. E allora, perché non utilizzare il Recovery Fund per fare quello che fu fatto 70 e passa anni fa? Un modello definito di investimento, con capitoli di spesa mirati, non semplici e scialbe linee guida, dice a Formiche.net Alberto Quadrio Curzio, economista, docente alla Cattolica di Milano e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei. La storia può insomma aiutare Giuseppe Conte a sfruttare al meglio 209 miliardi di euro concessi dall’Europa.

Quadrio Curzio, il governo ha indicato dove e come intende investire le risorse del Recovery Fund. Qualcosa non la convince?

Sì, il fatto che al momento sia stata data solo una cornice complessiva, senza tuttavia indicare un modello. E questo significa che mancano essenzialmente due ingredienti per un piano credibile. Il primo è, come dicevo, l’assenza di un modello di riferimento, un qualcosa che per esempio hanno fatto i francesi con il loro dirigismo colbertiano, un modello molto efficiente che ha sempre funzionato. I tedeschi anche hanno adottato il loro tipico modello, quello cooperativistico. Gli italiani invece non si è capito quale modello vogliano adottare.

Anche noi, come francesi e tedeschi, avremmo bisogno di un modello per il Recovery Fund? 

Certamente, se non fosse che un giorno diciamo una cosa e il giorno dopo un’altra. Anche sulle tasse, tanto per fare un esempio. L’Europa è contraria e qui giovedì si dice che si tagliano con il Recovery Fund e il venerdì si dice che non si tagliano più. Mi pare tutto ancora molto magmatico, ma è tempo che il governo dia un modello su cui impostare la strategia per il Recovery Fund.

Diamo qualche suggerimento al premier?

Penso al solidarismo liberale di Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni (ministro delle Finanze in alcuni governi De Gasperi, dal 1948 al 1954, ndr) cioè quel modello vincente che ha permesso all’Italia di risollevarsi dalle macerie della guerra. Qui parliamo di ricostruzione e oggi serve appunto una ricostruzione, come quella di Einaudi e Vanoni. Se guardiamo a quel modello, per esempio, una riforma fiscale sarebbe contemplata ma senza confondersi con un taglio delle tasse.

Allora è sbagliato tagliare le tasse con il Recovery Fund…

Sì, la cosa migliore è una diversa distribuzione fiscale. Questa è certamente la riforma fiscale di cui abbiamo bisogno.

Professore, parlava di un secondo aspetto essenziale per una buona riuscita dell’operazione Recovery Fund…

Sì, la ricostruzione appunto. Se il primo pilastro è la presenza di un modello, il secondo sta nell’entrare nella logica di una ricostruzione, che parta dalle infrastrutture. Se noi torniamo, in tempi brevissimi, a costruire infrastrutture, allora il Paese può rinascere. Esattamente come accaduto dopo la guerra, un Paese ricostruito moralmente partendo dalle opere pubbliche. Pensiamo solo ai porti del Sud. Ecco, perché non pensare a un sistema portuale meridionale fortemente internazionalizzato. Perché non è possibile che le navi e i cargo vadano sempre a scaricare a Rotterdam le loro merci, non crede? Ci sarebbe poi da fare una menzione a parte sullo Stato sociale.

Prego.

Sarebbe ora di un welfare che la smettesse di sostenere gli inattivi, ma che aiuti, quelle sì, le fasce deboli. Vede, c’è una grande differenza tra il sostenere chi non cerca lavoro e naturalmente non ce l’ha e aiutare le fasce deboli, coloro cioè oggettivamente in difficoltà.

C’è anche un’altra partita europea, quella per il Mes. Possibile che il governo italiano sia ancora indeciso se chiederlo o meno?

Quella sul Mes è una vicenda paradossale. Lei pensi solo che nella realtà i controlli che avremo sulla gestione del Recovery Fund saranno molto più stringenti rispetto al Mes. Quei 37 miliardi ci servono come il pane, perché consentirebbero al nostro sistema sanitario e scientifico-sanitario di fare un enorme salto in avanti e magari trattenere quelle decine e decine di cervelli che se ne vanno all’estero perché non trovano qui in Italia strutture adeguate e all’altezza e soprattutto diffuse. Di eccellenze ne abbiamo, per carità, ma con il Mes ne avremmo molte di più.

Proprio oggi il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha sposato la causa del Mes…

E meno male che lo ha fatto. Non accettare il Mes sarebbe un errore madornale…

Professore, parliamo di banche. C’è molta preoccupazione nel sistema del credito per la stretta sui crediti problematici. Lei che dice?

Le dico questo. Il nostro sistema bancario, nella sua apparente fragilità è un sistema che si è molto ristrutturato negli ultimi anni, questa fragilità è più apparente che strutturale. E poi non dimentichiamoci che a differenza di molte banche estere i bilanci dei nostri istituti non sono così pieni di prodotti talmente sofisticati da essere poco affidabili. Questo non dovremmo dimenticarcelo. No, il nostro sistema è forte.

In questi giorni è tornata in auge l’idea di una grande banca pubblica per il sostegno all’economia. Neo-statalismo che avanza?

Dipende, è difficile dare una risposta certa. Cassa Depositi e Prestiti sta facendo molto bene ed è perfettamente connessa alle altre Casse, spagnola, francese e tedesca. Ma una banca pubblica che duplichi Cdp non la vedrei bene, sinceramente.

 



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