Giuseppe Conte ha suonato il De Profundis per Quota 100. La possibilità di andare anticipatamente in pensione cadrà con ogni probabilità, tra pochi mesi, causa mancato rifinanziamento nel 2021 della misura che porta il nome di Matteo Salvini. Un problema, comunque, e da qualunque lato la si voglia vedere. Come raccontato da Formiche.net, chi dal 2022 deciderà di andare in pensione, dovrà fronteggiare i nuovi requisiti di pensionamento, che poi sarebbero quelli vecchi, della legge Fornero (67 anni), ritrovandosi in mezzo a un guado di cinque anni. C’è da chiedersi se, allora, ne valesse la pena sopprimere Quota 100. Secondo l’economista Veronica De Romanis, non ci sono dubbi.
De Romanis, il governo ha annunciato la fine di Quota 100. Scelta saggia?
Quota 100 è stata una delle misure più inutili e inique degli ultimi anni. Ricordiamoci che la misura fu fatta per creare occupazione giovanile, la famosa staffetta generazionale, tre giovani nel mercato del lavoro per ogni tre nuovi pensionati. Una promessa allora come oggi basata sul nulla, visto che non c’erano evidenze empiriche che dimostrassero questo, nemmeno all’estero. Oggi abbiamo dei dati che ci dimostrano come il tasso di sostituzione è dello 0,45, cioè escono due anziani ed entra meno di un giovane.
Insomma, una misura costosa e poco più…
Costosa non solo allora, ma anche in futuro. Perché i costi per lo Stato continueranno, pensiamo a quelle centinaia di migliaia che hanno fatto ricorso a Quota 100. Bene che ci sia un governo che si sia reso conto degli errori, anche se lo sapevamo prima. Rendiamoci conto che questa misura non ha aiutato i giovani, ed è chiaro, ma non ha aiutato nemmeno chi fa lavori gravosi visto che chi ne ha beneficiato è soprattutto chi lavora nella Pubblica amministrazione.
Ora però c’è un problema. Uno scalone lungo cinque anni. Che si fa?
Aspettiamo di vedere le ipotesi in campo, quelle vere e concrete. Però il problema c’è, perché Quota 100 ha creato discontinuità ed è stato detto che avrebbe superato la Fornero. Invece no, la legge Fornero è lì. Ora si è creata discontinuità e questa discontinuità va sanata. Una misura inutile, iniqua e per giunta che ha creato una gran confusione.
Ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha fatto il suo endorsement sul Mes. Il M5S è sempre più accerchiato sui 37 miliardi alla sanità?
Il Movimento è oggi la prima forza di governo e poi contano molto in Parlamento. Ma penso abbiano una gravissima responsabilità, così come il premier, nel non aver accettato subito gli aiuti. Sulla salute della gente non si scherza. Quando il Mes verrà preso, perché verrà preso, sarà sempre troppo tardi perché andava chiesto a giugno per mettere in sicurezza le scuole e i luoghi di lavoro. Si potevano assumere medici e comprare vaccini. Il Mes, sarebbe bene ricordarlo, richiede solo una mera rendicontazione mentre il Recovery richiede l’indicazione degli obiettivi e della tempistica, parliamo di un controllo molto più stringente.
Visco a dire il vero ha parlato anche di uno stigma per l’Italia, in caso di cattivo uso dei fondi per la sanità…
Il premier Conte ha detto che andrebbe chiesto insieme ad altri Paesi. Onestamente dall’Italia mi aspetto leadership sugli altri Paesi. L’Italia deve agire secondo le sue necessità, non possiamo solo e sempre porci il problema di cosa fanno gli altri.
Forse però di quello che pensano i mercato sì… O no?
Ma figuriamoci se i mercati hanno bisogno che l’Italia chieda il Mes per rendersi conto dello stato delle nostre finanze! Non credo che gli investitori siano a questo livello. E poi scusi, se proprio dobbiamo fare un discorso di messaggio, di comunicazione, dovremmo forse ricordarci che abbiamo chiesto, insieme a 15 Paesi, il Sure. Insieme a Paesi molto più deboli di noi, perché quelli più forti come Germania e Francia non l’hanno preso. E non mi pare che i Cinque Stelle si siano preoccupati dei mercati. Insomma, sta bene stare insieme ai più deboli ma non da soli?
De Romanis, parliamo del Reddito di cittadinanza. Conte ha annunciato modifiche, una stretta per chi rifiuta il lavoro. Non è che un giorno o l’altro alla fine anche quella misura seguirà il destino di Quota 100?
Sul reddito di cittadinanza c’è un errore di fondo, perché stata presentata come una misura di assistenza ma anche di politica attiva. Fu pensata per far alzare i giovani dal divano ma sarebbe bene ricordare che quando fu fatta non c’erano ancora i navigator dunque molta gente ha beneficiato di questa misura senza avere la possibilità di trovare lavoro. E poi ci sono ancora ampie discrezionalità nel rifiutare un lavoro. E infatti la percentuale di chi ha trovato lavoro con il reddito di cittadinanza è ancora oggi bassa.
Tra due settimane l’Italia dovrà presentare a Bruxelles il piano di riforme propedeutico al Recovery Fund. Il premier ha assicurato, anche stamani, che saremo pronti. Lo chiedo a lei: saremo pronti?
Bisognerebbe cambiare metodo. Invece di chiedere ai ministeri delle schede, serve definire un’idea di Paese. I fondi Ue sono per il domani, non per l’oggi e allora prima penso e immagino che Paese voglio e poi intervengo, non faccio il contrario. Questo è l’approccio che serve, per essere pronti sul serio.
Mi dica tre priorità per il Recovery Fund.
Agire sul capitale umano, dunque formazione, dunque scuola e università e formazione non solo per i giovani ma anche per gli over 50. L’altra priorità è a demografia. Non ci occupiamo da anni del problema dell’invecchiamento e non ci stiamo ponendo il problema della sostenibilità del sistema pensionistico e sanitario. Bisogna fare più figli e per questo bisogna consentire alle donne di lavorare, perché quando le donne lavorano fanno figli. E terzo, una riforma della Pa, urgentissima, per ora quando si parla di Pa si parla solo di smart working. Ma è una parte di una possibile riforma ma allora partiamo dai dati, perché è sui dati certi che si ottengono i fondi Ue. Della serie lo smart working ha alzato la produttività? Se sì, dove, come e quando?