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F35, l’Italia vola sulla quinta generazione. Il contratto del Pentagono per Cameri

Cresce il ruolo italiano nel programma F-35. Lo scorso venerdì, il Pentagono ha assegnato a Lockheed Martin un contratto da oltre 9 milioni di dollari per lavori sul sito italiano di Cameri, in provincia di Novara, unica linea di assemblaggio e verifica finale (Faco) per i velivoli di quinta generazione in Europa, impegnata altresì alla realizzazione di assetti alari.

IL CONTRATTO

Nel dettaglio, il contratto comprende “manodopera, pianificazione degli ordini di modifica ingegneristica, attività di installazione e supporto”, il tutto per il sito di Cameri, e in particolare per le attività di “modifica, riparazione, revisione e aggiornamento regionale per gli F-35 destinati al governo italiano”. I lavori finanziati dal contratto saranno realizzati per l’85% allo stabilimento novarese (il restante 15% a Fort Worth, in Texas), con completamento previsto entro la fine dell’anno.

LA PRODUZIONE

Per l’Italia, il contratto d’oltreoceano conferma le prospettive di crescita per i ritorni occupazionali ed economici della partecipazione al programma F-35, ritorni che da tempo sono finiti al centro dell’attenzione politica. L’adesione al Joint Strike Fighter poggia prima di tutto sulle esigenze operative delle Forze armate; poi, sulla collocazione transatlantica e sui rapporti con l’alleato americano. Infine, proprio sulle prospettive di ritorno industriale, al cui centro c’è il sito di Cameri (che assembla i velivoli italiani e olandesi) con oltre mille dipendenti, alla testa di un’ampia filiera che va dai big a tante Pmi distribuite sulla Penisola. Nel 2019 il programma è valso 63 milioni di euro di export per le aziende italiane, in crescita rispetto ai 20 del 2018. Gestito da Leonardo con il supporto tecnologico di Lockheed Martin è collocato all’interno dell’aeroporto dell’Aeronautica militare, frutto di un sistema collaborativo che ha segnato tanti primati nell’ambito del programma F-35.

PRIMATI EUROPEI (E NON SOLO)

A Cameri è stato realizzato l’F-35 che, per primo nella storia del programma, ha compiuto una trasvolata oceanica a febbraio 2016. Due anni dopo, sempre dallo stabilimento italiano è uscito il primo F-35 a decollo corto e atterraggio verticale (B) assemblato al di fuori degli Stati Uniti. Primati industriali a cui sono seguiti quelli operativi targati Aeronautica militare, prima forza armata europea a dichiarazione la capacità operativa dei velivoli di quinta generazione e prima nella Nato a impiegarli in un’operazione dell’Alleanza Atlantica (in Islanda, per missioni di air policing, già due in meno di un anno). Primati che hanno contribuito a far emergere l’Italia come protagonista della quinta generazione in Europa, con l’obiettivo di cogliere più lavoro per Cameri (e filiera) dai nuovi Paesi che aderiscono al programma.

L’ATTENZIONE POLITICA

Un obiettivo ormai bipartisan. A novembre dello scorso anno, la maggioranza giallo-rossa ha risolto il nodo politico sul programma con una risoluzione (con il parere positivo dell’esecutivo) per “valutare nel tempo il programma”. Oltre le formule lessicali, rappresentava il compromesso tra le forze che sostengono l’esecutivo, con la scomparsa dei termini “rinegoziazione” e “rimodulazione”, a favore di una sostanziale conferma degli impegni accompagnata da un atteggiamento più valutativo. Il terzo punto della risoluzione trovò il voto favorevole anche dell’opposizione (477 sì su 482 votanti). Chiedeva al governo di valorizzare gli investimenti fatti a Cameri e di “allargare ulteriormente gli ambiti di cooperazione internazionale nel campo aerospaziale e della difesa, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici del distretto”.

LA LINEA DA WASHINGTON A ROMA

A leggere il contratto assegnato a Lockheed Martin dal Pentagono la linea sembra confermata anche oltreoceano. Già lo scorso giugno, il colosso industriale Usa aveva ricevuto un ordine da 368 milioni di dollari per sei F-35 destinati all’Italia, nell’ambito del lotto produttivo numero 14. Oltre a certificare la discesa dei costi (al di sotto degli 80 milioni per un velivolo in versione convenzionale), quel contratto autorizzava anche il “common capability scope”, affinché sia coinvolta nella lavorazione la linea di assemblaggio e verifica finale di Cameri, destinatari del 28% del lavoro.

PUNTATE RECENTI

Per l’Italia, gli impegni fino al lotto 14 sono precisati nel Documento programmatico pluriennale (Dpp 2019-2021) della Difesa, dove si legge il programma d’acquisto di 28 velivoli totali fino al 2022. In questi numeri rientrano i sei velivoli contrattualizzati con Lockheed Martin a giugno. Per i lotti successivi (dal 2023 in poi) è arrivato da mesi il via libera a procedere del ministro Lorenzo Guerini, per il noto piano di 90 velivoli totali tra Aeronautica e Marina. Eppure, lo scorso aprile il dibattito politico è tornato ad accendersi. Al ministro della Difesa è arrivata l’interrogazione a prima firma del capogruppo del M5S in commissione Esteri a palazzo Madama Gianluca Ferrara (con una cinquantina di compagni di partito). Si chiedeva di sospendere il programma per un anno e di rivalutarlo nel suo complesso così da destinare più risorse alla sanità. A bloccare la richiesta è intervenuto compatto il Pd (e Italia Viva), pronto a difendere la scelta strategica per le relazioni transatlantiche, l’operatività delle Forze armate e i ritorni per l’industria. Linea ribadita su queste colonne da Lorenzo Guerini.

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