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Da Giorgetti a Meloni, chi vuole darsi una moderata (col referendum)? Risponde Orsina

Forse non cambierà governo, ma può cambiare comunque le carte in tavola. Più ancora delle regionali, è il referendum sul taglio dei parlamentari il vero tagliando della politica italiana. Parola di Giovanni Orsina, politologo e saggista, direttore della Luiss School of Government. Il fronte del no che pian piano rompe le fila del centrodestra, dice il professore, è il segnale inequivocabile che si è aperta la caccia al bottino dei voti moderati, a cominciare dal fortino azzurro di Forza Italia. Da Giancarlo Giorgetti a Giorgia Meloni fino a Luca Zaia, ecco chi ci sta facendo un pensiero.

Professore, l’inchiesta sui commercialisti della Lega si allarga a macchia d’olio. Salvini potrebbe dire qualche parola in più?

Quale che sia l’esito dell’indagine, non mi pare che ci siano grandi alternative, in termini di strategia comunicativa. Gli elettori leghisti dovrebbero dare poco peso alle vicende giudiziarie del partito, almeno per ora. Gridare alla giustizia ad orologeria prima delle elezioni è un rischio. Salvini ripete un classico mantra: “Siamo puliti, ci fidiamo della magistratura”.

Ne ripete pure un altro, in questi giorni. “Voterò Sì” al referendum. Ci crede davvero?

Anche qui, che lui ci creda o meno, è l’unica scelta possibile. Ha votato quella riforma, quattro volte. Io personalmente lo trovo un brutto cedimento alla peggiore antipolitica. Ma adesso, a distanza di un anno, è oggettivamente difficile dire no. Una cosa è certa: gli unici a intestarsi una vittoria del Sì saranno i Cinque Stelle.

Per questo qualcuno, nel centrodestra, adesso vuole gridare no. Giancarlo Giorgetti, ad esempio.

Mi sembra che l’exploit del vicesegretario rientri in un’operazione politica.

Cioè?

Con il ritorno dalla convalescenza di Berlusconi, cui auguriamo una veloce ripresa, ritorna anche il tema della sua successione politica. La successione alla guida della famosa “gamba” moderata che oggi riacquisisce spazi, anche al di fuori del centrodestra, penso all’esperienza di Calenda. Sul fronte della destra-destra c’è già una competizione a due, fra Salvini e Meloni. Qui no.

Beh, anche Meloni strizza un occhio a quel mondo. Dice, ad esempio, che se vince il no non crolla il mondo…

È vero, la Meloni sta cambiando posizione. Ha capito che legarsi troppo alla battaglia per il sì non è così conveniente. E non è l’unica che guarda al mondo moderato. Anche perché c’è una domanda che parte da Bruxelles…

Il Ppe?

Esatto. I popolari europei governano in Europa, ma non sanno con chi parlare in Italia. Salvini sta con i sovranisti, Meloni con i conservatori. Giorgetti, con quel no, apre a quel centrodestra che prima poi dovrà riprendere forma. Con quali intenzioni e conseguenze, è ancora presto per dirlo.

Dicono che anche Zaia ci stia facendo un pensiero. Se il doge fa il boom alle regionali per Salvini sono problemi?

Anche in questo caso, mi pare ancora troppo presto per una candidatura di Zaia alla leadership del Carroccio. Deve prima compiersi (ammesso ovviamente che si compia) la parabola politica di Salvini, e con una Lega intorno al 26% i tempi non sono maturi.

Difficile che Salvini tifi per un plebiscito veneto…

È plausibile che preferisca una vittoria a un plebiscito.

Poi c’è la Toscana. Salvini ha imparato la lezione dell’Emilia-Romagna?

Credo di sì. Raccontano un leader più disposto a stare dietro le quinte, a dare spazio alla candidata, Susanna Ceccardi. La Lega si gioca la carta della buona amministrazione, punta meno sui cavalli di battaglia nazionali. Una cosa è certa: se cade il fortino della Toscana, cambiano i rapporti di forza. Di Salvini nella Lega, della Lega nel centrodestra.

Che succede invece se il centrodestra fa l’exploit in tutte le tornate regionali? Forse è un bene per Conte che l’alleanza rossogialla non sia andata in porto quasi da nessuna parte. Così non sembra un voto sul governo.

In verità in parte lo è. Anzi, con la scelta di esporsi chiedendo a Pd e Cinque Stelle di unirsi, proprio Conte ha riconosciuto che queste regionali sono un banco di prova fondamentale per la maggioranza. Peraltro l’unica regione dove l’accordo è andato a buon fine, la Liguria, non promette bene per la coalizione.

Orsina, in questi giorni tutti parlano di rimpasto. Andrea Orlando dice che serve “un tagliando”. Diceva lo stesso la Lega un mese prima di staccare la spina al Conte uno…

Non siamo ancora a quel punto, semplicemente perché, oggi, non c’è alternativa. Salvini staccò la spina con la speranza di vincere le elezioni. A questa speranza difficilmente può aggrapparsi l’attuale maggioranza. Certo, un’eventuale sconfitta di peso alle regionali può minare le fondamenta di Palazzo Chigi. Ma ci sono tanti deterrenti, come il taglio dei parlamentari, che allontanano le elezioni politiche.

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