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Perché conservare la natura è un tema caro alla destra. Malgieri legge Giubilei

Francesco Giubilei ha scritto un libro il cui spessore mi autorizza a raccomandarne la lettura, tanto per l’attualità che lo ispira, quanto per la profondità dei concetti che elabora in un momento in cui soltanto chi è politicamente cieco e intellettualmente sprovveduto potrebbe liquidarlo con sufficienza. Il titolo è tutto un programma: Conservare la natura, con un sottotitolo che esplicita senza equivoci il tema che affronta con perizia e persino fascino descrittivo: “Perché l’ambiente è un tema caro alla Destra e ai conservatori” (Giubilei Regnani, pp. 316, € 22).

GiubileiQueste dense pagine non raccolgono soltanto dati e considerazioni relativi alla catastrofe ambientale, ma dispiegano una visione del mondo e della vita, propria del pensiero conservatore che presenta un’originalità indiscutibile posto che tanto i mutamenti climatici che le devastazioni ambientali, unitamente alle catastrofi naturali (per lo più attribuibili all’uomo, alla sua avidità, allo scarso senso di rispetto per una eredità da preservare), sono riconducibili alla mancanza di senso che la modernità dà alle cose. Ma Giubilei, osserva, interrogandosi su fenomeni planetari come quello che ha fatto diventare una star la giovanissima svedese Greta Thunberg, se la distruzione dell’ambiente non sia riconducibile all’ideologia globalista che ha reso irrilevanti tutte le identità. A cominciare da quelle culturali legate alla terra, alle civiltà, agli usi e alle tradizioni nel nome di una omologazione spinta fino ai confini della dissoluzione nichilista.

Conservare è preservare, fa intendere Giubilei rifacendosi al pensiero di Roger Scruton, il più grande pensatore conservatore scomparso nel gennaio scorso. Ma aggiunge pure che anche tramandare ed innovare, in coerenza con i principi che si ritengono irrinunciabili, appartiene ad una concezione spirituale dalla quale non si può prescindere.

La causa ambientalista, stupidamente fatta passare per uno degli asset ideologici della sinistra in quanto ritenuta arbitrariamente in opposizione al capitalismo, è quanto di più ascrivibile all’universo conservatore vi possa essere, e non per un pre-giudizio ideologico, quanto per la connessione tra la natura, manifestazione perenne della creazione, e la perpetuazione delle forme viventi, a cominciare dall’uomo. Se taluni ecologisti di sinistra fossero meno stupidi e incolti si rivolterebbero, proprio in nome della conservazione della natura contro il modernismo socialista ed il progressismo invasivo, le cui conseguenze inquinanti derivano dal produttivismo esasperato che sta lacerando il pianeta.

Il collettivismo e l’idealismo globalista, sono i nemici della natura e stravolgono l’ambiente, come constatiamo a beneficio della mostruosità effimera rappresentata dall’efficientismo autoritario statalista (l’Urss e la Cina, esempi emblematici) e dall’egoismo personalista (il liberismo). L’equilibrio sta nella conservazione della natura che non si sposa con gli atteggiamenti stakanovisti e con le avide acquisizioni e trasformazioni di ciò che è indisponibile come “bene comune”.

Scruton ha più volte evidenziato nei suoi saggi l’incompatibilità tra ambientalisti e socialisti: questi, come hanno dimostrato nei Paesi in cui hanno dominato per decenni, si sono fatti promotori di un gigantismo architettonico che, oltre all’inquinamento ha deforestato aree del pianeta immense, non diversamente dal capitalismo selvaggio che ha  desertificato altrettante vaste zone, come l’Amazzonia, per costruire veloci autostrade e arricchirsi con lo sfruttamento del caucciù, il tutto ai margini di città precarie, costruite come dormitori e somiglianti a campi di detenzione per gli operai costretti quasi in schiavitù nelle profondità delle zone dove si spegnevano, a causa di presenze sgradite e sgradevoli, tribù che la civilizzazione nel corso dei secoli non era riuscita a scalfire, come gli Yanomami ormai ridotti a simboliche presenze sulle rive del Rio delle Amazzoni.

“L’ambientalismo – scriveva Scruton – è la quintessenza della causa conservatrice, l’esempio più vivo nel mondo, così come lo conosciamo, di quel partenariato fra i morti, i vivi e i non ancora nati, di cui Burke faceva l’apologia e vedeva come l’archetipo del conservatorismo”. Ciò vuol dire che nulla ci appartiene, tanto meno le risorse naturali, in eterno. Quel di cui godiamo e che ci rende responsabili della  preservazione, oltre che del soddisfacimento naturale con l’obbligo di non distruggere, ma di incrementare, è il “ tesoro” che vincola le generazioni. Perciò distruggere a fini di arricchimento è quantomeno selvaggio, ma pure incongruo ai fini della  continuità  della specie”.

Francesco Giubilei, nella stessa linea di pensiero, traduce nella pratica comportamentale conservatrice l’assunto del filosofo britannico: “L’attenzione dei conservatori – scrive – ai temi ambientali non si limita a un’elaborazione culturale ma si concretizza in attività di carattere politico come il Conservative Environment Network, un forum indipendente inglese composto da parlamentari e membri di associazioni favorevoli alla conservazione della natura e alla decarbonizzazione attraverso la creazione di un’agenda che favorisca unità e obiettivi comuni tra i conservatori”. E al riguardo osserva: “Il punto di vista su cui si articola il manifesto è interessante perché incentrato su una visione nazionale della lotta ambientale in contrapposizione alla concezione globalista oggi predominante”, una visione, appunto, scrutoniana.

Molta è la confusione a proposito di ambiente nel mondo conservatore che Giubilei tenta di decifrare. Ed opportunamente aggiunge: “Dal punto di vista conservatore, è fondamentale porre l’uomo al centro di un ecologismo che non consideri gli esseri umani una minaccia per l’ambiente, bensì una risorsa per conservarlo e tutelarlo. In quest’ottica, la tradizione cattolica  che vede l’uomo nato da Dio e posto al centro del Creato con il dovere di conservare e amare la natura, è senza dubbio condivisibile. Al tempo stesso è necessario un ambientalismo che nasca dal basso, dalle comunità, piuttosto che da imposizioni dello Stato, o, peggio ancora, di entità sovranazionali che intervengono modificando la vita dei cittadini, senza tenere in considerazione usi e costumi dei popoli, tradizioni locali. In poche parole, un ambientalismo globalista che ci vorrebbe tutti uguali dimenticando le identità locali fatte di particolarismi e di differenze”.

La polemica antiegualitaria a fondamento di certo ecologismo “di sinistra” è esplicita. Per darle più forza bisognerebbe probabilmente cercare altrove, in un ambito non definito aprioristicamente “conservatore”: penso, tra gli altri, ad Henry Thoreau e allo scrittore americano Wendell Berry. Le idee di questi due intellettuali, così temporalmente distanti tra loro, si fondano sull’oikophilia, l’amore per la propria casa, e l’ostilità verso le ideologie dello sradicamento, che i conservatori dovrebbero combattere quando si connotano come “grandi imprese”, megalopoli o egemonie multinazionali. Scruton ha criticato il conservatorismo quando si è appiattito su queste tematiche, legittimandole  e perdendo nello stesso tempo  la sua anima:  quel che accade negli Usa è emblematico al riguardo.

Il lealismo locale, il sentimento della vicinanza che molti conservatori non capiscono più, farebbero, se venissero sostenuti, indietreggiare gli ambientalisti di sinistra facendogli capire che quei valori supportano l’idea di nazionalità “visto – come osserva Scruton – che le nazioni sono delle comunità che si sono date una forma politica. Esse sono pronte ad affermare la loro sovranità, traducendo il comune sentimento di appartenenza in decisioni collettive e in leggi che si danno da sé. La nazionalità è una forma di legame  territoriale, ma è anche un’intesa di natura prelegislativa. Inoltre, le nazioni sono agenti collettivi della sfera dei processi decisionali globali. Solo mediante l’appartenenza a una nazione l’individuo riesce ad avere voce in capitolo negli affari mondiali”.

Ecco perché, la nazione è questione che attiene alla natura, sostanzia l’ambientalismo, racchiude le ragioni che tengono insieme il patto generazionale. La nazione è un causa ecologica alla  quale l’opzione conservatrice prioritariamente dovrebbe guardare. E non mancano gli esempi.

L’ecologismo in Germania, ha origini nell’ambiente patriottico. Basta ricordare il movimento dei Wandervogel, alla fine dell’Ottocento, (“Uccelli migratori”) formato da gruppi di studenti influenzati dalla cultura conservatrice, spiritualmente aristocratica ed antiborghese che metteva al centro della propria riflessione il tema della natura come fondamento di un’umanità organicamente strutturata. Da esso presero spunto intellettuali e poeti come Ludwig Klages e Stefan George. Ed in parte influenzarono più tardi il movimento della Rivoluzione conservatrice.

Più vicini a noi i provvedimenti filo-ecologisti dei presidenti repubblicani Richard Nixon e Ronald Reagan. Il primo creò la Environmental Protection Agency  (nel 1970 propose 36 differenti leggi ambientali), e sfidò il senatore democratico Ed Muskie per vedere chi fosse il più deciso nel ridurre l’inquinamento atmosferico.

Contemporaneamente, in California, l’allora governatore Ronald Reagan dedicò buona parte del suo discorso sullo Stato della nazione ai problemi ambientali, affermando “l’assoluta necessità di combattere una guerra totale contro il degrado dell’ambiente”. Reagan scrisse su “Nation’s Business” che “il grande tema che più probabilmente dominerà l’attenzione politica della nazione negli anni Settanta [è] la protezione ambientale… La mentalità da bulldozer del passato è un lusso che non possiamo più permetterci. Le nostre strade e qualunque altro progetto pubblico devono essere pianificati in modo da evitare la distruzione dei nostri paesaggi, e da evitare di modificare senza motivo l’equilibrio ecologico”.

La “National Review”, riferimento storico dei conservatori, scriveva che se le industrie non la smettevano di inquinare “dobbiamo trovare il modo di costringerle… Si dovrebbe intervenire presso le persone che contano ancor prima che accadano fatti spiacevoli. Invece di manifestare nella Quinta Strada in nome dei cuccioli di foca, i difensori dell’ambiente otterrebbero risultati assai migliori picchettando i country club delle contee di Nassau, Fairfield e Morris”.

Altro che le temerarie, nonché ridicole, invettive di Donald Trump contro le politiche climatiche come se fossero ubbie di hippyes fuori stagione! Vorremmo ricordargli che il fondatore del moderno Grand Old Party, Barry Goldwater, unitamente al più intellettualmente cospicuo  conservatore James Buckley, non fecero mistero del loro ambientalismo negli anni Sessanta.

Per venire ai nostri giorni, ci limitiamo a citare ancora Scruton che ha  sostenuto come  i Paesi europei siano governati da classi politiche incolte e inconsapevoli  del  destino  delle  nazioni  che  guidano  e  si  nascondono  dietro  “gli  usci  sbarrati delle  istituzioni  europee”  dalle  quali  promanano  direttive  demenziali  volte  a  travolgere l’anima di una comunità vasta di nazioni e popoli  fino  a  sfibrarla.  Oggi la causa ambientalista è tutt’altro che divisiva. Essa è sostanzialmente ascrivibile alla cultura dell’“et-et” piuttosto che a quella consunta fondata sull’ “aut-aut”. Nella consapevolezza che soltanto puntando sui grandi temi si possono proporre scenari perfino suggestivi, nonostante  l’oggettiva drammaticità che li connota, ad una opinione pubblica frastornata dal politicamente corretto da un lato e dal politicantismo di piccolo cabotaggio dall’altro.

Se toccasse ai conservatori adottare uno slogan per sintetizzare il pensiero ecologista oggi, Scruton non avrebbe dubbi: “Feel locally, think nationally” (“Senti localmente, pensa nazionalmente”). Come dire: allo Stato-nazione non vi è alternativa, a meno di non volerci suicidare rincorrendo le paranoie globaliste che un’Unione europea artificiosa ci sta ammannendo come un virus.

E a proposito di virus, Giubilei, accortamente dedica interessanti pagine al rapporto tra coronavirus ed ambientalismo legando i due aspetti ad uno stesso fattore: la distruzione della Terra, per quanto  possa sembrare fantascientifico, ma non lo è. La crisi dell’ecosistema è intimamente legata, come ha dimostrato David Quammen nel suo Spillover, a mutazioni incontrollabili per il semplice fatto che l’uomo non ha più le chiavi del Creato e giocando con sperimentazioni innaturali, intimamente connesse alle questioni ambientali, si trova nell’antica era dell’anno zero.

Una buona battaglia per i conservatori: tornare al passato per riconquistare il presente ed immaginare non velleitariamente un possibile futuro.


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