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L’Italia non perda la sfida della finanza verde. La versione di Realacci

Il mondo cambia e allora è tempo di un debito pubblico green e perché no, a prova di Covid. I green bond, le emissioni di titoli finalizzate a raccogliere denaro per investire in progetti sostenibili, sono ormai molto più di una realtà. E, forse, rappresentano una nuova frontiera del debito sovrano, tema caro all’Italia che con il terzo debito mondiale e un deficit prossimo al 160% del Pil deve giocarsi molto bene ogni singola emissione. La prova è come sempre nei numeri (il 30% delle risorse Ue da qui ai prossimi anni sarà destinato al finanziamento di progetti green in scia alla scommessa del Green new deal). E i numeri raccontano l’ascesa della finanza verde, almeno in certi Paesi. E l’Italia? Formiche.net ha sentito in merito il parere di Ermete Realacci, tra i padri dell’ambientalismo italiano, presidente della Fondazione Symbola e per 5 anni a capo della commissione Ambiente della Camera, in quota Pd.

LA GERMANIA APRE LE DANZE

Ieri la Germania ha fatto il suo debutto ufficiale nel mercato dei green bond, registrando un vero e proprio exploit. Nel corso della prima emissione il bond verde di Berlino avrebbe raccolto 6,5 miliardi di euro, ricevendo richieste superiori a 30 miliardi. E pensare che in fase di collocamento l’importo previsto era pari a 4 miliardi di euro. In generale il mercato delle obbligazioni verdi è cresciuto molto negli ultimi anni. Nel 2019 è stata venduta la cifra record di 255 miliardi di dollari di obbligazioni emesse allo scopo di finanziare progetti e attività a basso impatto ambientale, con un incremento di oltre il 45% rispetto al 2018.

Anche l’Italia, nel suo piccolo, sta facendo del suo. Ma finora solo i privati o le società quotate si sono mosse, come nel caso di Mediobanca, la cui emissione green di pochi giorni fa ha superato quota 3,5 miliardi di euro in termini di ordini ed Enel, che a inizio 2019 ha collocato sul mercato un’obbligazione verde per 1 miliardo di euro, seguita da una seconda emissione (2,5 miliardi) nell’ottobre dello scorso anno. Ora però le cose potrebbero cambiare, al punto che anche il ministero dell’Economia italiano è pronto a lanciare al pare dei colleghi tedeschi il suo primo Btp green, come annunciato quasi un anno fa dal ministro Roberto Gualtieri. C’è da chiedersi se la finanza green made in Italy supererà con successo il test del mercato, come in Germania.

SULLA FINANZA VERDE LE IMPRESE BATTONO LA POLITICA

“L’Italia sconta una situazione che è a due velocità per quanto riguarda la finanza verde”, spiega Realacci. “Da una parte c’è un’economia reale che viaggia molto forte, con tante imprese, anche piccole, che investono nella finanza verde e che ricorrono a strumenti di mercato. Dall’altra però c’è una politica che non sembra ancora aver compreso la grande rivoluzione alla quale siamo arrivati. In altre parole c’è un pezzo di economia che corre molto più veloce della politica e che per questo si è portato un passo avanti. E quando parlo di economia, dico economia reale, imprese, che scelgono la finanza green per sostenersi e sostenere i grandi cambiamenti ambientali. Se dunque il punto di vista è quello della politica, allora siamo indietro rispetto alla Germania. Ma se invece il metro di misura è quello delle imprese allora siamo molto avanti al sistema produttivo tedesco”, sottolinea Realacci.

“Se noi prendiamo i numeri dell’economia circolare emerge come le nostre aziende riciclino il doppio delle imprese tedesche, forse abbiamo quasi un primato. Tutto questo però non basta, perché c’è anche la componente finanziaria e lì toccherebbe alla politica. Come? Permettendo alle imprese di allargare le spalle, perché spesso fanno poco ricorso al mercato dei capitali e di conseguenza non ricorrono a strumenti finanziari, quali i bond. La cosa frustrante è che a fronte di un impegno delle imprese nella ricerca di una sostenibilità sempre maggiore non c’è un altrettanto concreto da parte della classe dirigente, affinché spinga il sistema produttivo nella direzione della green economy e della finanza verde”.

OCCHIO AL RECOVERY FUND

Anche il Recovery Fund tira direttamente in ballo la finanza green. Realacci peraltro condivide i timori di alcuni osservatori secondo i quali il governo non ha chiari in mente gli interventi e gli investimenti da finanziare con le risorse dell’Europa. “I tre capitoli più importanti trasversali e corposi del Recovery Fund, riguardano digitalizzazione, sanità e per l’appunto transizione verde. Mi chiedo se l’esecutivo e più in generale l’Italia abbia capito che grande opportunità abbiamo avanti. L’Italia si è mossa benissimo per fronteggiare la pandemia, ma sul rapporto tra politica e transizione siamo molto indietro e su gli obiettivi da indicare per beneficare del Recovery Fund siamo indietro, indietrissimo. E se è indietro la politica, di riflesso lo è anche la finanza. Faccio un esempio. Il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, parla di inserire tra le opere da finanziare con il Recovery il tunnel sotto lo Stretto, mi chiedo se qualcuno è impazzito o ha bevuto. Quel progetto non c’entra un bel niente perché gli investimenti in questione vanno fatti entro due anni perché poi i soldi dell’Ue finiscono e per fare un tunnel serve molto di più”.

Per Realacci l’errore madornale da non commettere è dunque “ignorare l’opportunità offerta da un’Europa che ha dimostrato di esistere. Di essere viva. E che sta indicando i binari di una nuova economia, un’economia più equa, forse, certamente più sostenibile. E l’Italia ho l’impressione che non stia comprendendo fino in fondo questo cambiamento”.



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