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Salvare Milano per salvare l’Italia. Roberto Sommella racconta come (e perché)

Fino a pochi mesi fa, fino alla comparsa del coronavirus, pensare a una grande città aperta, poteva far venire in mente ai più l’immortale film di Roberto Rossellini, Roma città aperta, anno 1945. Qualcuno però, forse, dovrà aggiornare il dizionario del parlato comune. Perché oggi esiste un’altra città aperta, non la Roma invasa dai nazisti, ma Milano. Una città che da anni, ormai, rappresenta il cuore pulsante della nostra economia, in tutte le sue forme e sfaccettature. Con un passato fatto di finanza salottiera, di scandali bancari, di moda, tutto condito da una dose crescente di evanescenza, che negli anni 80, i tempi della Milano da bere, raggiunse il suo apice. Ma anche, andando più indietro, un altro passato. Gli anni 70, gli spari in piazza e le bombe, e poi ancora prima il boom, i magazzini Motta, la lavatrice per tutti, la Fiat 500. Un attimo dopo le bombe sulla galleria Vittorio Emanuele II, nel ’43, a due passi da Duomo.

Ma oggi, Milano, è cambiata. Perché la pandemia non guarda in faccia a nessuno, non fa prigionieri. I suoi effetti, devastanti, attaccano tutto e tutti, dall’economia domestica di tutti i giorni fino al nostro sistema di vita quotidiano, a cominciare dai rapporti umani. E Milano, l’invincibile Milano, non ha fatto eccezione. Con una differenza, però. Oggi, salvare Milano vuol dire salvare l’Italia. Nessuna pulsione nordica o voglia di federalismo spiccio, solo una costatazione. La Madonnina volava più in alto di tutti e non da ieri, ma è stata fermata da un nemico subdolo e imprevedibile. Ora deve ripartire, a tutti i costi. Per farlo però serve capire il passato e soprattutto il presente, serve compiere un viaggio nella Milano prima, durante e dopo la pandemia, un viaggio che si può compiere sfogliando le pagine del libro scritto da Roberto Sommella, giornalista, saggista e direttore di MF-Milano Finanza, che i lettori possono da qualche settimana trovare in edicola (o comprare online) con il quotidiano edito da ClassEditori.

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In oltre 180 pagine di analisi approfondite e accurate, con i contributi di Paolo Panerai (editore del gruppo Class), Manuel Follis, Andrea Montanari, Jole Saggese, e Gabriele Capolino, si andrà incontro a un percorso che non lascia spazio a coloro che per sport addossano le colpe ad altri e a chi ha la memoria corta. Un viaggio al termine della notte, arricchito da un’intervista in appendice di Giuseppe Conte. Quando si pensa a Milano, non si può non pensare ad Alessandro Manzoni. Ed è proprio da una citazione dei Promessi Sposi, che descrive la fuga dei cittadini durante l’epidemia di peste del ‘600, che volume prende il là: “Sono partiti prima della mezzanotte. Nonostante le gride che proibivano di lasciare la città e minacciavano le solite pene severissime, come la confisca delle case e di tutti i patrimoni, furono molti i nobili che fuggirono da Milano per andarsi a rifugiare nei loro possedimenti in campagna”.

Sì, perché durante i mesi oscuri e terribili della pandemia, i milanesi hanno cominciato ad abbandonare la loro città, raggiungendo mete secondarie o le case di campagna, mare o la montagna. E la Madonnina è rimasta sola, vuota, nel silenzio. La Milano scattante, tutta muscoli d’acciaio e investimenti, è diventata giorno dopo giorno, spettrale, immobile. Con uno spartiacque, che nel libro trova spazio circa a metà volume: il 21 marzo 2020, sabato. Quel giorno di inizio primavera, il governo decise di imporre lo stop a tutte le aziende non strategiche o essenziali. Era l’inizio del lockdown più duro, quello industriale. Sembrano ormai passati anni luce, eppure è successo proprio ieri. Ma ora è tempo di rinascere e di rimettere la Madonnina al centro del villaggio. Ed è proprio qui che Sommella si cimenta in un manifesto che vuole essere un rilancio dell’ex Mediolanum. Perché, è il senso di fondo che accompagna l’intero libro, se non riparte Milano, la Londra d’Italia a voler forzare un po’ la mano, non riparte lo Stivale.

Occorre per l’occasione ricordare quanto appunto raccontò lo stesso Manzoni, a peste finita: come sono scappati, torneranno. E come possono tornare le persone a stringersi la mano sotto la Madonnina, ripopolando la locomotiva d’Italia, possono tornare anche i capitali, fuggiti, anche loro, non sempre per colpa del Covid. Ed ecco allora la grande occasione milanese, dunque italiana. Servono una Borsa tutta italiana, incentivi fiscali per attrarre capitali stranieri, innovazione e inventiva. E perché no dimostrare ancora una volta al mondo intero che l’Italia non è un Paese bollito e spompato, che la pandemia l’ha saputa gestire forse meglio di altri e su queste certezze ora si può costruire un futuro migliore in un mondo sì, diverso. Cominciando col riappropriandosi di un passato non troppo lontano, che porta dritti a Piazza Affari, l’altro simbolo di Milano.

“Milano città aperta deve puntare sulla finanza”, scrive Sommella. “La Borsa, di nuovo di proprietà italiana, investimenti immobiliari e una piazza finanziaria di vantaggio. E forse sarà così anche per Piazza Affari, se si calibreranno bene le energie del progetto Mediobanca di creare una joint venture tra Italia e Francia per togliere a Londra la possibilità di tenersi con la Brexit anche il miliardario bottino delle commissioni sulle transazioni finanziarie”. Tornare a essere la Londra d’Italia è possibile. “Occorre creare le condizioni affinché i capitali che lasceranno la City per forza di cose e per i regolamenti europei, i quali stabiliscono come un soggetto attivo sulla piazza finanziaria debba avere sede dell’Unione, arrivino qui, a Milano e non altrove. Il come è facile, basta copiare Londra, divenuta la città più ricca e più cara al mondo, grazie proprio alla tassazione al 20% di tutti i capitali esteri ma residenti in loco”. Si potrebbe ripartire da qui.



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