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Europa e Italia poco sexy per l’attrazione degli investimenti. I numeri del Global Index 2020

Alla 46esima edizione del Forum Ambrosetti Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive, a Cernobbio, sono stati presentati i risultati della quinta edizione del progetto di ricerca Global Attractiveness Index 2020 (Gai), di The European House – Ambrosetti con Aviva Assicurazioni in Italia, Philip Morris Italia e Toyota Material Handling Italia.

“In un contesto globale di radicale trasformazione economica e sociale”, spiega Philip Morris in una nota, “causata dalla pandemia Covid-19 il Rapporto del Global Attractiveness Index (Gai) è uno strumento prezioso che aiuta a tracciare una visione di fondo per la ripartenza del nostro Paese. Il Gai mappa 144 economie del mondo e cerca di cogliere in che modo cambia la geografia dell’attrattività al variare della velocità di ogni Paese rispetto agli altri, prendendo a riferimento quattro macro-aree (apertura, innovazione, dotazione ed efficienza)”.

Ma chi perde e chi vince nel Gai 2020? Per l’Unione europea (Ue) si registra un processo di diminuzione dell’attrattività (basti pensare che negli ultimi 5 anni il 75 per cento dei Paesi europei è in riduzione o stabile nel ranking e che negli ultimi 10 anni la percentuale europea di Investimenti diretti esteri sul totale globale è diminuita dal 43,7 al 30,7 per cento).

Come scrive Enrico Giovannini nel Rapporto, “è segno che per l’Europa la sfida dell’attrattività è sempre più continentale e non potrà essere vinta né difendendo posizioni di rendita del passato, nè guardando a posizioni nazionalistiche”.

In altre parole, per l’intera Ue, si pone l’occasione di ricostruire il concetto di attrattività in logica sovra-nazionale. A tal fine – dopo i passi avanti fatti con l’approvazione del Piano next generation Eu – è auspicabile la promozione di una maggiore armonizzazione fiscale e normativa, la creazione di un mercato unico dell’energia e di una maggiore integrazione bancaria, una centralizzazione del debito europeo (finalizzato a specifiche azioni e policy quali green transition e digitalizzazione) e un’armonizzazione e mutualizzazione di risorse e strumenti per il welfare state a protezione dei cittadini. E l’Italia?

L’Italia è al 18esimo posto, ma con uno score in peggioramento (60,36 contro 61,15 nel Gai 2019). Riguardo le specifiche macro-aree, si evidenziano delle criticità soprattutto nella macro-area efficienza. Il Total tax rate, per esempio, secondo gli ultimi dati Eurostat, passa dal 53,1 al 59,1 per cento, posizionando il Paese al 129esimo posto, in peggioramento. Confermato il “nodo” della crescita produttività totale dei fattori: nel 2019 la variazione negativa è pari a 0,27, 65esimo posto nella classifica Gai 2020, in calo rispetto al 2019 (47esimo). Il Paese presenta inoltre significativi margini di miglioramento sia in termini di sostenibilità, sia riguardo la tutela dei propricittadini più in difficoltà.

Non è tutto. Per l’Italia “è inoltre auspicabile: la realizzazione di una riforma fiscale finalizzata a raggiungere una maggiore equità e semplificazione; un rilancio del Mezzogiorno (attraverso un vasto programma di perequazione infrastrutturale, edilizia e digitale e il potenziamento della formazione secondaria e terziaria), una strategia nazionale di lungo periodo (a-politica e a-partitica) per lo sviluppo di tecnologie verdi e la partecipazione attiva del Paese alla creazione di questa Circular Europe che tanti aspettano.

Come afferma Marco Hannappel, amministratore delegato di Philip Morris Italia, “la ripartenza si collocherà in un nuovo scenario, in cui le imprese vincoleranno sempre meno i propri successi a un’area geografica specifica o a un Paese in particolare. In tale prospettiva di reshoring, il compito dell’Italia sarà quello di cogliere tale opportunità per attrarre e promuovere investimenti di imprese italiane e straniere”.

Non a caso, probabilmente, parte delle risorse del Piano Next generation Eu saranno indirizzate verso un piano di reshoring degli investimenti (anche al fine di rafforzare nel mercato interno le catene del valore fondamentali), ma anche al sostegno ai settori del made in Italy.



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