Skip to main content

Così (con il re-shoring) l’Ue taglia il cordone con la Cina

Grafite, litio, cobalto, vanadio, bauxite. Sono i nodi di un lungo, resistente cappio che costringe il mercato europeo alla dipendenza da Paesi extracomunitari. Ora Bruxelles vuole spezzarlo. Questa settimana la Commissione Ue pubblicherà un documento in cui risuona l’allarme: l’Unione deve ridurre al più presto la sua dipendenza dalle catene di fornitura extraeuropee, a cominciare dalla Cina.

Il piano consiste nel lancio di una “Alleanza Ue nelle materie prime”, con il primo obiettivo di “promuovere lo sviluppo di tecnologie avanzate nelle batterie e nel carburante a idrogeno”. Tra le priorità, svela il Financial Times, “garantire la sicurezza della fornitura delle terre rare e di altri elementi usati per costruire magneti”, e insieme “promuovere investimenti e innovazione in Europa”.

La strategia della Commissione prevede anche la possibilità di usare il satellite di osservazione Ue Copernico per “trovare nuove risorse e gestire quelle esistenti”. Il quotidiano finanziario cita il monito del Commissario francese al Mercato unico Thierry Breton: “L’era di un’Europa conciliante o naif che dipende da altri per difendere i suoi interessi è finita”.

In Italia, in questi mesi di pandemia, il dossier ha iniziato a farsi spazio timidamente nel dibattito pubblico. Anche all’interno del Copasir c’è chi ha suonato l’allarme. Antonio Zennaro, deputato del Gruppo misto e componente del comitato di controllo, ha denunciato la vulnerabilità del mercato delle auto elettriche nei confronti della Cina con un recente intervento su Formiche.net. “Ci si dimentica che la Cina è il principale produttore di batterie elettriche, dominano circa l’80% del mercato. In Italia, senza una forte produzione domestica, ogni tipo di incentivo al settore è un aiuto diretto al Dragone cinese”.

“L’Europa sta facendo un brutto risveglio e si scopre dipendente da catene di produzioni cinesi o di altri Paesi non proprio democratici in settori strategici,  come i medicinali o le terre rare – commenta oggi Zennaro ai microfoni di Formiche.net – il Recovery Fund dovrebbe essere finalizzato al reshoring e non alle solite prebende a scadenza elettorale, bisogna riportare le principali catene di produzione dal farmaceutico, al settore metalmeccanico e metallurgico in Italia, con il 12% certificato oggi dall’Istat rischiamo un futuro di deserto industriale dove i cittadini vivono di sussidi e compra prodotti da cinesi e dall’est Europa, la fine dell’Italia come Paese tra i più industrializzati”.

È l’altra faccia della pandemia. Il virus ha messo a nudo la vulnerabilità del mercato europeo delle materie prime. Dalle batterie all’energia rinnovabile, l’emergenza ha rivelato una (amara) verità: l’Europa, da sola, non ce la fa. Ammette Breton al Financial Times: “La pandemia ha rivelato la dipendenza dell’Europa da alcuni prodotti, materiali critici e catene di valore”.

Di qui la controffensiva. Anche perché senza materie prime come lo stronzio o il cobalto viene meno qualsiasi presupposto per l’agenda green della Commissione. Il documento in uscita dalla Commissione snocciola numeri preoccupanti, e guarda soprattutto a Pechino. Il fronte più caldo è quello delle “terre rare”, i metalli e i minerali di cui la Cina è primo detentore al mondo e che sono tasselli chiave di industrie multi-miliardarie, come l’elettronica e la telefonia mobile.

L’Europa è indietro, troppo. La Commissione di Ursula von der Leyen avvisa: il 93% del magnesio, il metallo che si usa per costruire i pc o i sedili delle auto, arriva dalla Cina di Xi Jinping. L’85% del niobio, fondamentale per aerei e gasdotti petroliferi, dal Brasile di Jair Bolsonaro. Il 98% del borato, materiale con cui si fabbricano le tute ignifughe per i pompieri, spiega il Financial Times, proviene dalla Turchia di Recepp Tayyip Erdogan. Assieme ai flussi di migranti, un altro “rubinetto” che il “Sultano” può aprire e chiudere a suo piacimento, con conseguenze imprevedibili.

La Cina svetta in cima alla lista dei Paesi cui l’Ue è legata a doppio filo. Il rischio che la lezione del monopolio del gas russo si ripeta nel mercato dell’elettronica e delle rinnovabili con la Cina c’è, ed è concreto. Un rischio che si fa ancora più alto man mano che Pechino estende la sua influenza in mercati e aree geografiche ricche di materiali che scarseggiano nell’ex Celeste impero. L’Africa centro-orientale è un caso esemplare.

Il 60% del cobalto europeo, svela il documento di Bruxelles, arriva dalla Repubblica democratica del Congo. Ma l’80% viene lavorato in Cina per poi essere trasformato in prodotti chimici per le batterie. Lo stesso vale per il litio australiano e per tanti altri metalli che devono passare all’ombra della Città proibita prima di arrivare nel mercato europeo.


×

Iscriviti alla newsletter