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Tutti i rischi nella nuova società della rete unica. Analisi del prof. Zecchini

La grande rete fissa per telecomunicazioni rappresenta un asset strategico per la sicurezza del Paese e per il suo sviluppo economico e sociale. In quanto tale, incombe allo Stato garantire che l’interesse pubblico prevalga su quello privato di massimizzazione del profitto e di contrasto della concorrenza nel commercializzare i servizi. Questo assioma sembra essere stato perduto di vista come stella polare nel guidare il cammino verso la costituzione di una società mista, privato-pubblico, che rilevi la rete unica e la rinnovi con la tecnologia della fibra ottica per permettere a tutto il territorio di disporre di servizi ultraveloci e a bassa latenza.

Sebbene non siano ancora di pubblico dominio i dettagli della governance della nuova società mista, AccessCo, che dovrebbe ricevere la rete dall’attuale proprietaria, Telecom, a prima vista l’accordo preliminare tra quest’ultima e la Cdp, braccio operativo della politica industriale del governo, appare presentare troppi rischi per la tutela dell’interesse del Paese. Un interesse fin dall’inizio sacrificato sull’altare di una fallita privatizzazione della società pubblica, monopolista della rete: questa è, in realtà, finita nelle mani di speculatori, che ne hanno tratto lauti guadagni, ma ritardando investimenti tra cui il fondamentale passaggio dal cavo di rame alla fibra ottica, e scaricando sulla società stessa l’esorbitante fardello dei debiti contratti per l’acquisizione. A questi risultati si è giunti anche per la mancanza di un’efficace disciplina regolatoria unita a una pesante azione sanzionatoria verso il monopolista privato, che essendo nel contempo operatore di rete e fornitore di servizi agli utenti finali, ha avuto spazio per contrastare i concorrenti nel mercato dei servizi.

Con il nuovo accordo il governo intende riportare in parte nella sfera pubblica proprietà e gestione della rete, ma con quali obiettivi? Nelle dichiarazioni ufficiali si parla di accelerare la realizzazione della rete in fibra e di assicurare la copertura su tutto il territorio, comprese le aree meno appetibili agli investitori privati per l’insufficiente domanda. Di fatto, si parte in ritardo e si continua con i ritardi a causa del dirottamento delle risorse assegnate per il 2020 agli investimenti nella banda ultra larga verso altre destinazioni legate al contrasto della pandemia in corso, e anche per il rinvio di alcuni bandi per infrastrutture al dopo costituzione della nuova società. Sembra che la connessione 5G, perno dell’avanzamento verso industria 4.0, possa aspettare! Ma l’interesse pubblico si declina in una gamma più ampia di obiettivi rispetto a quelli enunciati.

In prima fila sta la separazione della proprietà della rete dalla commercializzazione dei servizi per il consumatore. In altri termini, una rottura di quella integrazione verticale che ha permesso a Telecom di considerare sviluppo e gestione della rete in funzione della sua offerta di servizi al dettaglio, sempre in posizione di vantaggio sui concorrenti. La migliore garanzia di non discriminazione tra i fornitori di servizi, ovvero di neutralità della rete, si ottiene in realtà con questa separazione. Non basta, infatti, la vigilanza dell’Autorità indipendente Agcom, che già nel recente passato ha dovuto sanzionare Telecom per pratiche anticoncorrenziali e scorrettezze nelle tariffe, senza peraltro riuscire a dissuaderla dal riprovarci.

Altro obiettivo da raggiungere è assicurare che il potenziamento della rete in termini tanto di tecnologie a fibra ottica, quanto di estensione territoriale risponda pienamente all’interesse generale senza alcun ritardo o discriminazione. Un’alternativa potrebbe consistere nel realizzare una rete pubblica in concorrenza con quelle private, ma sarebbe un inutile dispendio di risorse che col tempo finirebbe in dissesti, fusioni ed acquisizioni che ridurrebbero la concorrenza, come si è visto negli Usa negli anni seguenti allo smantellamento del monopolio privato della società Bell.

Ancora, un obiettivo di particolare rilievo consiste nel riuscire a mobilitare il capitale e il risparmio dei privati per sostenere i particolarmente costosi investimenti richiesti per avere una rete a fibra ottica di ultima generazione. Nelle condizioni attuali della finanza pubblica l’impegno finanziario dello Stato in questo campo non può che essere limitato, mentre il cofinanziamento col privato dischiude una capacità finanziaria tale da accelerare gli investimenti necessari a completare la transizione tecnologica del sistema di connessioni nella quasi totalità del territorio.

Posto questo insieme di obiettivi rilevanti per il Paese, l’interrogativo è se il modello di società di rete abbozzato tra Telecom e lo Stato soddisfi questi criteri. Questo non appare evidente, in quanto nella nuova società Telecom conserverebbe la maggioranza azionaria e, nonostante i paletti che il soggetto pubblico intenderebbe porle, è in grado di condizionare le scelte societarie. La stessa clausola secondo cui l’Ad della società sarebbe espresso da Telecom pone un’ipoteca sulla possibilità di raggiungere tutti gli obiettivi enunciati, considerando anche che l’azionista di maggioranza di Telecom è un uomo di affari francese.

Ma il modello di società mista a cui il governo ha dato il suo assenso non è l’unico possibile perché ne esistono altri di successo comprovato negli anni. Gli esempi più importanti e di tutta evidenza sono rappresentati da Terna, società di trasmissione dell’energia elettrica, Snam (Rete Gas), che possiede le dorsali di distribuzione del gas naturale, e si potrebbe aggiungere la controllante della rete ferroviaria italiana. La prima nasce da una costola di Enel, quando le direttive europee hanno spinto a separare proprietà e gestione della rete di trasmissione dalla distribuzione e commercializzazione al dettaglio. A questa meta si è arrivati in pochi anni con la progressiva acquisizione da parte di Terna di tutta la rete nazionale e la quotazione della società in borsa con limiti posti al possesso azionario dei privati (5%) al fine di ottenere una proprietà diffusa. Il soggetto pubblico, tramite Cdp, controlla la società con una partecipazione di minoranza pari al 29,85% e sceglie l’Ad. Al tempo stesso, la società è soggetta alla sorveglianza dell’autorità indipendente di settore, nonché all’influenza del Ministero dello Sviluppo Economico che tiene d’occhio la fissazione delle tariffe applicate agli utenti e il piano pluriennale di potenziamento delle linee di trasmissione, dato che nel Paese persistono diverse strozzature di rete.

Lo stesso approccio è stato seguito grosso modo con Snam, che ha acquisito la rete dall’Eni ed è quotata in borsa. Anche in questa società il controllo pubblico avviene attraverso Cdp, che detiene il 30,37% del capitale, e si estende alla rete di stoccaggio del gas attraverso la Stogit, che è molto importante per la sicurezza degli approvvigionamenti e il buon funzionamento del mercato. Entrambe Terna e Snam attingono ampiamente ai mercati finanziari e beneficiano di un management capace ed attento all’interesse nazionale in uno scacchiere di dimensioni e sfide globali. La scelta di un management all’altezza del compito di soddisfare i diversi obiettivi indicati è cruciale ed anche ardua in un ambiente in cui la vicinanza al mondo politico può pesare più del merito individuale; è infatti da considerarsi come uno degli elementi discriminanti nella galassia pubblica tra società ben gestite e quelle in perdita.

Nel caso della rete unica di telecomunicazioni si potrebbe seguire lo stesso approccio, realizzando una società mista ad azionariato diffuso, con limiti al possesso azionario privato, una quota di minoranza di controllo in mano al soggetto pubblico e una capacità di attingere ai mercati finanziari. Questo assicurerebbe il perseguimento dell’interesse nazionale e la buona gestione anche per il ruolo di sorveglianza svolto dall’azionariato privato. Naturalmente per arrivare a questo assetto sarebbero necessari diversi passaggi in cui i mercati azionari e finanziari sarebbero chiamati a un ruolo importante, come pure gli interventi normativi e regolatori. La ragione per cui questo approccio è stato scartato pur a fronte di esempi positivi così evidenti non è nota, ma meriterebbe una chiara risposta perché gli italiani vogliono comprendere.

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