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Fra Salvini e Giorgetti nessuna crisi e sulle inchieste… La versione di Campi

Turbolenze nella Lega? “No, tutto sotto controllo: è il gioco delle parti”. La versione di Alessandro Campi, politologo e docente all’Università di Perugia parte da un punto fermo: “Giorgetti e Salvini, con ogni probabilità, giocano la stessa partita interpretando ognuno il suo ruolo”. Il “match” chiaramente, è il referendum Costituzionale.

Professore, da più parti si vocifera di una crisi di leadership di Matteo Salvini all’interno della Lega e la dichiarazione di voto contraria al taglio dei parlamentari da parte di Giorgetti potrebbe assomigliare a una spaccatura. Lei che idea si è fatto?

Partiamo dal presupposto che la leadership è in crisi nel momento in cui si crea un’alternativa. Ad oggi, questa alternativa non esiste. Il no di Giorgetti al referendum non è una guerra per la leadership: è il gioco delle parti. D’altronde il Carroccio è sempre stato un movimento articolato su una dicotomia. Da un lato la frangia movimentista ben interpretata da Salvini e dall’altra la frangia più moderata attraverso la quale si arriva alla mediazione politica, interpretata a pieno titolo da Giorgetti. L’unica cosa a cui stiamo assistendo è l’indebolimento della figura di Salvini, determinato da una serie di fattori e prima di tutto dall’emergenza epidemiologica che prepotentemente ha fatto scemare la mediaticità a cui era abituato.

Quindi anche l’ipotesi che Zaia possa ambire a scavalcare il “capitano” è da escludersi?

Direi proprio di sì. La polarità tra Lega veneta e Lega lombarda c’è sempre stata. Ma, alla fine, ha sempre avuto la meglio la Lega lombarda: il centro nevralgico del Carroccio è lì. Zaia potrebbe solo rafforzare se stesso in Veneto nella prospettiva indipendentista che gli è molto cara.

Lei ritiene che le questioni giudiziarie nelle quali il Carroccio è coinvolto possano in un qualche modo inficiare la credibilità e il consenso del leader?

No: le vicende giudiziarie non hanno nessun tipo di influenza. Le decisioni della magistratura non incidono sul consenso di cui gode un leader di partito. Si è radicata l’idea che la giustizia in questo Paese sia utilizzata a mo’ di strumento politico. Un esempio, parlando della Lega, è la questione delicata del finanziamento pubblico dei 49 milioni. Nonostante il cancan mediatico, il Carroccio ha fatto il record di consensi. L’opinione pubblica non tiene più in considerazione le decisioni della magistratura”.

E l’aggressione di Salvini a Pontassieve come se la spiega?

Il leader del Carroccio ha sempre giocato indubbiamente sulle contrapposizioni forti. La tecnica per ora ha funzionato però probabilmente ora stiamo assistendo alle reali conseguenze della polarizzazione così forte dell’elettorato. Peraltro in un momento storico, diciamo la fase immediatamente successiva al periodo di massima aggressività della pandemia, in cui gli animi sono particolarmente esacerbati. Questo nervosismo si riscontra però anche nella sinistra che, sempre più spesso, nel denunciare le campagne d’odio rischia di usare gli stessi metodi che tanto critica.

E’ un problema del Partito democratico?

E’ una questione di identità del Partito democratico. Occorre prima di tutto ragionare sull’alleanza sempre più stretta e strutturata fra dem e Movimento 5 Stelle. Partiamo dal presupposto che con la storia e le tradizioni del Pd, l’alleanza con un movimento che loro per primi hanno sempre considerato in una certa misura sovversivo, risulta quantomeno bizzarra. La verità è che il Pd ormai si regge su un’ideologia che è quella del potere, del controllo. Comunque sia e con chiunque. Sebbene si definiscano gli unici guardiani degli autentici valori costituzionali, è sempre più evidente che l’obiettivo sia governare per governare. Governare significa potere, comando. In estrema sintesi: il partito dell’establishment.

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