L’attività turistica italiana con un movimento di circa 87 miliardi di euro rappresenta oltre il 13% dell’intero prodotto interno lordo nazionale ed occupa in modo più o meno stabile circa 4,2 milioni di addetti.
Queste cifre fanno attestare il settore turistico di gran lunga al di sopra di settori pur avanzati quali quello alimentare, agricolo e tessile. Si tratta cioè di un giro di affari di circa 87 miliardi di euro (nel 2019) di cui 44,3 portati dagli stranieri, con un trend in aumento costante negli ultimi anni. Questo anno, se non ci fosse stato il Coronavirus, negli stessi mesi ci sarebbero stati 81 milioni di presenze ed i soli turisti stranieri avrebbero speso quasi 10 miliardi di euro.
Attualmente invece il comparto prevede di perdere 350.000 addetti stagionali. Il 20% delle strutture rischia di chiudere definitivamente e comunque non ha aperto nemmeno. “Ben 50.000 imprese del settore rischiano il fallimento a causa della perdita di solidità finanziaria, con una contrazione del fatturato di almeno 12 miliardi di euro” – segnala Raffaele Rio, presidente dell’Istituto Demoskopika – .
A giugno le presenze negli hotel d’Italia hanno registrato un crollo dell’80 % rispetto allo stesso mese del 2019 a causa dell’assenza (-93,2%) della clientela estera ed oltre a più dei due terzi di quella italiana. A luglio l’83% degli hotel, secondo l’Osservatorio di Federalberghi, ha visto un fatturato più che dimezzato. Nel 62,7% dei casi poi il crollo è superiore al 70%. Ad agosto il crollo è stato del 70% perché si sono persi 3,6 milioni di visitatori provenienti dall’estero con mancati incassi per quasi due miliardi, la metà rispetto a quelli dell’anno precedente. “È una tragedia e non si vedono segnali di una ripartenza secondo Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, chi ha aperto pensa di richiudere”.
Drammatiche le conseguenze sull’occupazione: a giugno sono stati persi oltre 100.000 mila posti di lavoro stagionali (-58,4%) e per i successivi mesi ci sono altri 140 mila posti di lavoro temporanei a rischio. L’assenza dei turisti stranieri si stima siano stati 25 milioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, – dichiara Marina Lalli, Presidente di Federturismo – una battuta d’arresto purtroppo destinata a proseguire anche a settembre. “Settembre sarà decisivo: rischiamo la chiusura definitiva del 30% delle imprese con un danno per l’occupazione ma anche per l’indotto di enormi proporzioni”. Secondo le stime di Federturismo: la ristorazione calerà del 60% ed a ottobre rischia di abbassarsi al 70%, i porti turistici -10% ed anche gli scali da diporto avranno un 20% in meno di traffico; le terme -67% da gennaio a settembre hanno perso 327 milioni di euro, il 30% delle strutture è rimasto chiuso.
A fronte di questo crollo drammatico non appaiono adeguati gli interventi previsti dal governo, che tuttalpiù servono a tamponare l’emergenza temporaneamente ma non mettere le basi per una ristrutturazione ed un rilancio strutturale del settore.
Infatti il bonus vacanze si risolve in effetti in un credito d’imposta da utilizzare nella dichiarazione dei redditi del 2021, quindi praticamente aggrava la crisi di liquidità delle aziende. La decontribuzione sulle assunzioni dei lavoratori stagionali va bene ma sarebbe stata più efficace su sei mesi anziché su tre. Bene anche l’annullamento della rata Imu di dicembre, ma si sarebbe dovuto estendere anche agli alberghi con gestori diversi dai proprietari, che sono il 50%. Per il settore resta confermata la previsione di una perdita di ricavi attorno al 70-80% su un giro d’affari di 20 miliardi: “Nelle grandi città gli alberghi sono ancora chiusi in molti casi” – dichiara Maria Carmela Colaiacovo, Vice Presidente di Confindustria Alberghi -. Nei 33mila hotel del paese (2,3 milioni di posti letto) lavoravano prima del Covid 220.000 addetti. Ora gli occupati sono non più del 20%, stando alle ultime stime.
E per Massimo Caputi, Presidente di Federterme, le misure del Decreto agosto “hanno un respiro corto, puntano a salvare una stagione e non gettano le basi per una ripresa vera nel 2021”. Il comparto quest’anno prevede perdite attorno al 60-65% dei ricavi, che l’anno scorso, con 60 mila addetti diretti, hanno superato il miliardo e mezzo. “E – conclude – la dote di 160 milioni verrà bruciata in un click day di due secondi, sinceramente ci aspettavamo qualcosa di più […] Vengono dati 500 milioni a fondo perduto per attività commerciali dei centri storici, più del triplo dei crediti di imposta per tutte le aziende turistiche. Lo ripeto non si risolve la situazione con le mance, servono interventi forti, mirati e di lungo periodo”.
Anche perché già ci sono all’orizzonte fondi di private equity stranieri (cinesi, americani, francesi, ecc. ecc.) pronti a fare shopping in questo settore, come è già successo per la filiera del lusso italiano, essendo interessati non a singoli alberghi ma ad intere catene del settore. Per contrastare questa ennesima aggressione a pezzi dell’economia italiana il governo dovrebbe essere in grado di utilizzare a pieno e quanto prima i Recovery Fund proprio per mettere a sistema il nostro patrimonio turistico.