La pandemia ha messo a dura prova la tenuta del sistema universitario, generando un solco profondo nella coscienza di chi, come me, sa che bisogna intervenire tempestivamente per evitare che le difficoltà sinora riscontrate rappresentino soltanto l’inizio di un rovinoso collasso che manderebbe in frantumi certezze e speranze delle nuove generazioni.
Il tortuoso sentiero che le Università italiane hanno intrapreso negli ultimi anni, specialmente a causa dei continui e netti tagli alla ricerca, fa risaltare, ancor più chiaramente, la necessità di adoperarsi con decisione per scongiurare una crisi culturale, che, seppur in maniera silente, condurrebbe il nostro Paese verso un inesorabile default identitario.
Eppure, nonostante le carenti risorse a disposizione e malgrado gli effetti devastanti prodotti dalla diffusione del Covid-19, l’Università italiana è viva, malconcia ma viva. I nostri Atenei, infatti, hanno spesso dimostrato di riuscire, nelle difficoltà, a rintracciare le migliori opportunità, come dimostrato dalla costante crescita nell’ultimo decennio del posizionamento di molte istituzioni universitarie italiane nei ranking internazionali. Non si tratta, perciò, di un carrozzone inefficiente. Anzi, l’Università rimane il principale moltiplicatore di eccellenze del nostro Paese.
Ma il sistema universitario non può autogestirsi, ha bisogno di essere adeguatamente sostenuto e guidato in un percorso di crescita che valorizzi al meglio le potenzialità dei nostri giovani. E questo sarebbe il compito del ministro Manfredi, che, tra l’altro, essendo stato fino a poco tempo fa Rettore di un grande Ateneo, avrebbe potuto e dovuto effettuare delle scelte chiare, risolutive. Ma a diversi mesi dal suo insediamento, ci ha tristemente abituati a non aspettarci alcuna presa di posizione rispetto a tutto ciò che concerne l’Università.
Anche tentare sarebbe meglio che fare nulla, restare immobili, impassibili al cospetto del rischio di un rovinoso decadimento di una delle istituzioni più importanti della nostra società. Eppure, se un tempo si poteva immaginare che il silenzio del ministro dei mesi scorsi fosse dovuto alla centralità che, nostro malgrado, ha progressivamente assunto l’emergenza sanitaria, oggi, anche i più ottimisti stentano a credere che qualcosa sarà detto o, ancor meno probabile, che qualcosa sarà fatto.
Tutto questo nonostante i proclami da sogno promulgati al Consiglio Universitario Nazionale, quando Manfredi dichiarava che avrebbe risolto tutti i problemi del neonato ministero, facendo fatti e non chiacchiere. Ebbene, quali e dove sono questi fatti? Ce li racconti, ci faccia capire. La mesta verità è che non ci sono. Emerge soltanto un pericoloso immobilismo della struttura organizzativa ministeriale, priva di una reale prospettiva per la risoluzione dei problemi, soprattutto se si tiene conto degli effetti negativi che la pandemia e la sua cattiva gestione da parte del governo hanno provocato.
A due settimane dall’apertura del nuovo anno accademico, le Università sono nel caos – e non certo per loro demerito -, con tutte le ripercussioni negative che tale clima di incertezza comporta per i nostri giovani, in primis, e per i docenti, il personale tecnico-amministrativo e, più in generale, per tutti coloro che sono coinvolti nell’indotto universitario.
Forse il ministro ignora o dimentica che le politiche e le decisioni in materia di Università, così come l’inerzia, impattano in maniera trasversale, oltre che sui ragazzi, sulle loro famiglie, sulle imprese, sulle altre istituzioni e sulla società tutta. Almeno Manfredi provi a svegliarsi da questo letargo pandemico e ci spieghi cosa intende per didattica in modalità mista, come questa sarà organizzata, secondo quali linee guida, per quanto tempo, con quali misure di sicurezza. Insomma, attendiamo risposte e proposte concrete da parte del ministro. Non c’è più tempo. Delle promesse ne abbiamo davvero abbastanza.