Tempo di studiare, per gli italiani e di innovare, per le imprese. A poco più di tre mesi dalle sue Considerazioni finali, le prima dell’era Covid, Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, torna a tracciare la rotta sul futuro dell’Italia e dell’Europa. Intervenendo in streaming allESOF2020 (EuroScience Open Forum) a Trieste Visco ha suggerito due azioni da intraprendere subito. Molto semplici, tutto sommato: studiare e innovare.
“I ritardi nel campo della conoscenza si sono tradotti, in Italia, in una lenta crescita del Pil negli ultimi 30 anni”, è stata la premessa di Visco. “L’emergenza Covid-19 ha colpito profondamente l’economia italiana: a metà 2020 il Pil è tornato a livelli osservati all’inizio del 1993 ma in termini pro capite, il Pil è sceso ai valori registrati alla fine degli anni ’80”.
Di qui, i due inviti. “La bassa spesa in ricerca è accompagnata da investimenti insufficienti nell’istruzione. Per quanto riguarda la dimensione quantitativa, i dati mostrano che gli italiani non frequentano la scuola abbastanza a lungo. La dimensione qualitativa del problema educativo investe il fatto che gli studenti italiani sembrano non imparare abbastanza”. Tradotto, si studia troppo poco e questi fa male al Pil.
Per quanto riguarda le imprese, “hanno un ruolo chiave da svolgere. La loro reazione all’enorme trasformazione indotta dal progresso tecnologico e dalla globalizzazione durante gli anni ’90 si è riflessa in una richiesta di costi del lavoro inferiori, invece che in investimenti più elevati e adeguati in nuove tecnologie. Ciò avrebbe stimolato la domanda di manodopera altamente qualificata, innescando forse un circolo virtuoso di domanda e offerta di istruzione superiore. Innovazione e formazione sono plasmate dalla struttura del sistema produttivo estremamente frammentato in Italia. Il nanismo del sistema produttivo italiano è correlato alla capacità delle imprese di introdurre buone pratiche manageriali, adottare nuove tecnologie per sviluppare innovazione e investire in capitale umano”.
La conclusione è ovvia. “Una debole capacità di innovazione, un basso livello di capitale umano e un peso predominante delle piccole imprese hanno caratterizzato l’Italia anche quando la sua crescita economica era rapida. Due fattori hanno contribuito ad arrestare il recupero dell’Italia e ad innescarne il declino: primo la mancanza della capacità autonoma di innovare per alimentare la crescita economica, secondo, il mondo è cambiato radicalmente negli ultimi 30 anni, a causa della globalizzazione dei mercati e della rivoluzione informatica”.