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Da Barca a Calenda, cosa si muove a Roma (verso il Campidoglio)

Qualcosa ha iniziato a muoversi ma la confusione sotto il cielo di Roma inevitabilmente rimane grande. Dopo lo stallo degli ultimi mesi – con la sola Virginia Raggi in campo, addirittura dallo scorso agosto, ma ora neppure più sicura al 100% di correre – centrosinistra e centrodestra, nolenti o volenti, hanno iniziato a fare i conti con le prossime elezioni capitoline di primavera. Con una differenza di fondo non irrilevante però: che dalle parti del Nazareno è già scattata l’ora dei passi ufficiali, delle polemiche anche aspre, dei nomi probabili o improbabili (l’ultimo in ordine di uscita è quello di Fabrizio Barca, ipotizzato dal Messaggero) mentre tra i secondi sembra prevalere al momento l’attendismo, chissà, forse pure in attesa delle decisioni dei concorrenti.

Differenza che pare derivare da una serie di fattori politici e, per così, dire storici. Primo tra tutti l’apprensione per l’alleanza di governo con il MoVimento 5 Stelle, che lo stesso segretario dem, Nicola Zingaretti, ha detto più volte di voler rendere strutturale, salvo escludere ad ogni occasione utile l’ipotesi di una convergenza su Raggi. Che, lo ricordiamo, annunciò la sua ricandidatura pochi giorni dopo l’intervista a Formiche.net con cui il vicepresidente della Regione Lazio Daniele Leodori aprì all’accordo con i pentastellati romani ma senza l’attuale sindaco. E poi ancora la provenienza romana di numerosi dirigenti dem di primo piano, di ieri e di oggi: dagli ex sindaci e cofondatori del Pd Walter Veltroni e Francesco Rutelli, per passare a Zingaretti e a Goffredo Bettino, fino a David Sassoli, Paolo Gentiloni e Roberto Gualtieri. La questione Roma, in pratica, coinvolge fortemente anche per ragioni di provenienza geografica gli interessi della nomenclatura democratica. Non c’è da dubitare, però, che il fattore alla base dell’accelerazione del Pd sia il terzo: la probabile candidatura nella capitale di Carlo Calenda.

Il leader di Azione per la verità non ha ancora sciolto le riserve ma il tam tam mediatico delle ultime ore, unito ai suoi numerosi tweet a gamba tesa sul tema, sembrerebbe far pensare che sia prossimo ad annunciare la sua decisione di correre per il Campidoglio. Notizia rilanciata più volte nei mesi scorsi ma sempre smentita dal diretto interessato che stavolta, guarda caso, ha preferito soprassedere. L’insistenza di questa voce un effetto, intanto, pare averlo sortito: la convocazione da parte del segretario romano del Pd, Andrea Casu, di un tavolo di confronto con gli alleati, in programma mercoledì prossimo, ufficialmente per parlare delle primarie. “Anche Calenda è invitato“, hanno affermato i vertici del Partito democratico capitolino. E in effetti la questione è tutta qui: nel caso in cui l’ex ministro dello Sviluppo economico scegliesse davvero di candidarsi, sarebbe pronto a farlo anche fuori dal centrosinistra? Ovvero, accetterebbe di sfidare eventualmente pure il nome alternativo scelto dal Nazareno e dai suoi alleati?

Domande la cui risposta potrebbe influire fortemente sull’esito delle prossime elezioni. Perché alla fine le eventuali divisioni potrebbero andare a tutto vantaggio del centrodestra e anche di Virginia Raggi. A questo punto, dunque, gli scenari possibili nel centrosinistra sembrerebbero tre: la candidatura unitaria del leader di Azione, la scelta di un nome più forte del suo in grado di mettere d’accordo tutti e di rendere vano il suo eventuale tentativo in solitaria (ma è difficile, già i big romani stavano facendo a gara a sfilarsi, figuriamoci adesso) oppure, terzo scenario, una competizione nella competizione tra i dem e i loro alleati e l’ex ministro dello Sviluppo economico, il quale in questo caso non è affatto escluso possa ricevere l’appoggio di Italia Viva (che a Roma è rappresentata dai deputati capitolini Roberto Giachetti e Luciano Nobili). Un po’ come successe nel 2016 nel centrodestra quando Forza Italia si schierò al fianco di Alfio Marchini e Lega e Fratelli d’Italia avanzarono la candidatura di Giorgia Meloni, con la conseguenza di mancare entrambi il ballottaggio.

Situazione che sembra potersi escludere si ripeterà quest’anno: Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, alla fine, troveranno un nome condiviso. Già, ma quale? L’unica indicazione che si può trarre finora è che non dovrebbe trattarsi di un politico di professione. Per il resto anche qui siamo nel campo delle ipotesi, si va dal profilo manageriale – i più accreditati in questa fase sono l’ex presidente degli industriali romani Aurelio Regina e l’ex numero uno di Acea e Camera di Commercio di Roma Giancarlo Cremonesi – fino al mondo della televisione e del giornalismo. Negli ultimi giorni a circolare con più insistenza è stata la voce – rilanciata per primo da Mario Ajello sul Messaggero – che vorrebbe Massimo Giletti prossimo candidato sindaco del centrodestra. Lo stesso conduttore tv è stato al gioco – “Ogni tre mesi mi spostano da Torino a Roma a Palermo: mi fa sorridere che mi accoppino a tutte le città ma non smentisco”, ha commentato sornione su Rtl 102.5 – ma, in passato, non aveva escluso una sua possibile esperienza in politica. Sembrerebbe persino che a La7 si siano già messi in moto per riorganizzare i palinsesti nel caso in cui il conduttore di Non è l’Arena optasse per la corsa al Campidoglio. Al quale nelle ultime ore Forza Italia avrebbe candidato, per bocca del deputato Andrea Ruggieri, un altro volto noto del giornalismo: il conduttore di Quarta Repubblica, e firma del Giornale, Nicola Porro. “Perché non lui. E’ romano, è uno capace di allargare il campo, un vero liberalizzatore, per non dire delle sue notevoli capacità comunicative”, il virgolettato di Ruggieri riferito sempre dal Messaggero.

L’impressione, comunque, è che nel centrodestra abbiano molta meno fretta di scegliere di quanto non ce ne sia nel Pd (incalzato appunto da Calenda), come traspare pure dalle parole del senatore leghista, e uomo forte di Salvini a Roma e nel Lazio, Claudio Durigon, riportate dal Corriere della Sera: “Giletti corrisponde all’identikit, ma non si è ancora parlato di nomi, li avremo entro i primi di novembre”. Un modo per prendere tempo e, perché no, per capire cosa succederà nel frattempo nel centrosinistra, così da calibrare le scelte. E’ chiaro, ad esempio, che nell’ipotesi di una candidatura unitaria di Calenda avrebbe molto meno senso per il centrodestra scegliere un manager, in fondo un profilo abbastanza simile a quello del fondatore di Azione.

E Virginia Raggi? Il sindaco in carica è già in campo e prosegue la sua campagna elettorale. Tuttavia, oltre a rischiare inevitabilmente contraccolpi derivanti dal clima infuocato che si respira all’interno del movimento a livello nazionale, si trova anche a fare i conti con i mal di pancia di una parte non irrilevante dei pentastellati romani. Come hanno scritto sul sito dell’agenzia di stampa Agi Paolo Molinari e Andrea Managò, tra i cinquestelle capitolini, Roberta Lombardi in testa, sarebbero in molti a spingere perché l’attuale cittadino non si ricandidi. “Al momento si tratta di una ipotesi suggerita da una manciata di consiglieri comunali e regionali e ferma alla struttura locale del movimento”, ma vista la confusione non si sa mai. Anche perché nel pomeriggio di oggi, da Lucia Annunziata su Raitre, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha lasciato trapelare la possibilità che alla fine non sia Raggi a correre alle prossime comunali. Non necessariamente, almeno: “La mia idea è fare un’alleanza programmatica nelle grandi città, così come si è fatta nel governo. Dovremo fare al più presto un tavolo nazionale. Io non mi fossilizzerei sul singolo nome, come Raggi e Sala. Dovremo affrontare insieme il tema di tutte le città senza scaricare nessuno”. La strada verso il Campidoglio è lastricata di dubbi da qualunque angolatura la si guardi.

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