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Controlli (mancati) in Tunisia e un terrorista sconosciuto. Cosa c’è dietro Nizza

Cosa si sa dell’attentatore di Nizza che, negli scorsi mesi, si era allontanato dall’Italia dopo essere sbarcato a Lampedusa? Ancora molto poco, spiega Stefano Vespa, anche perché non era arrivata nessuna segnalazione dagli investigatori tunisini che pure collaborano da anni con quelli italiani

L’attentato di Nizza, al netto di polemiche politiche a uso interno, riporta in superficie l’attività di prevenzione sul fronte dell’antiterrorismo e i tanti problemi connessi ai flussi migratori. Controlli e arresti ci sono sempre stati, in particolare negli anni caldi degli attentati in Europa, ma il caso di Brahim Aoussaoui presenta aspetti ancora poco conosciuti. Il 21enne tunisino, che nella cattedrale di Nizza ha ucciso tre persone e ferita un’altra, si era allontanato dall’Italia dopo essere sbarcato a Lampedusa e ospitato a Bari, essere stato registrato e aver ricevuto l’ordine di espulsione dal questore. Nei mesi scorsi i ministeri dell’Interno e degli Esteri erano riusciti a raggiungere un accordo con il governo tunisino per raddoppiare i rimpatri, che erano fermi a 80 alla settimana. Oggi sfiorano i 600 al mese, comunque troppo pochi considerando che quest’anno, fino al 29 ottobre, sono sbarcati 11.195 tunisini su un totale di 27.190 migranti. Quindi i tempi per il rimpatrio di Aoussaoui non sarebbero stati brevi.

I CONTROLLI IN TUNISIA

Sull’attentatore, ricoverato in prognosi riservata dopo essere stato ferito dai poliziotti, non era arrivata nessuna segnalazione dagli investigatori tunisini che pure collaborano da anni con quelli italiani. C’è da tempo un protocollo di sicurezza tra le strutture antiterrorismo e gli italiani premono perché il governo di Tunisi stringa ulteriormente le maglie, soprattutto dopo la sconfitta militare dell’Isis sul terreno. Secondo alcuni studi, circa 3mila combattenti tunisini andarono in Siria e Iraq e circa 1.500 in Libia: molti sono tornati a casa e hanno compiuto attentati anche lì. L’ultimo esempio è dell’inizio di settembre quando la polizia tunisina inseguì e uccise tre islamisti sospettati di aver attaccato due membri della Guardia Nazionale nella città costiera di Susa. Se non c’è un filtro alla partenza e se non arrivano segnalazioni alle autorità italiane, tutto diventa più difficile.

UN PROFILO DA DEFINIRE

Sulla storia, le intenzioni e gli eventuali contatti di Aoussaoui c’è parecchio da capire e non sarà semplice farlo in tempi brevi. In un’intervista ad Al Arabiya il fratello del terrorista ha detto di aver ricevuto una foto della cattedrale di Nizza con un messaggio nel quale Brahim gli scriveva di voler passare la notte davanti all’edificio. Un elemento centrale sul quale si stanno concentrando gli investigatori è se il tunisino aveva in mente di compiere un attentato fin dallo sbarco in Europa oppure no: l’utilizzo di un normale coltello dà l’impressione di un’azione improvvisata, chissà se provocata dalle polemiche tra Francia e Turchia sulle vignette raffiguranti Maometto e il presidente Racep Tayyip Erdoğan. Solo ipotesi che potranno essere confermate o smentite dall’analisi del suo telefonino: se è vero che lo usava spesso, in Italia e in Francia, sarà facile capire se aveva contatti solo con la sua famiglia oppure anche con altre persone che potrebbero averlo aiutato. Certo è che lo scontro politico-religioso che sta infiammando molte parti del Medio Oriente e dell’Asia vede uniti sciiti e sunniti che, pur con linguaggi diversi, accantonano il reciproco odio viscerale per unirsi contro la Francia.

LE TENSIONI IN ITALIA

Mentre Matteo Salvini continua a chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno e Luciana Lamorgese replica che è il “momento di fermare le polemiche” e che si è trattato di “un attacco all’Europa”, l’attentato di Nizza irrompe nel dibattito italiano alle prese con le conseguenze del Covid e con le proteste di piazza, spesso violente. Nell’ultimo Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza non sono emersi elementi per parlare di una regia unica e gli investigatori propendono per analisi separate. Le violenze dell’estrema destra dipenderebbero dalla necessità di tornare all’“azione” per problemi interni: Forza Nuova si starebbe frammentando e CasaPound non ha avuto i risultati elettorali sperati. Sull’altro fronte, gli anarchici puntano alla negazione del virus per creare caos. In piazza scendono anche normali cittadini disperati che si ritrovano in situazioni sconosciute perché non abituati alla “piazza”, concetto diverso al Sud dove il ruolo della criminalità organizzata è perfino ovvio sia nell’eccitare la folla sia per approfittare dei problemi economici e acquisire imprese in difficoltà a quattro soldi. Un insieme di elementi che non fa dormire sonni tranquilli.


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