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Cosa sarà dell’Europa dopo la bufera Covid. La riflessione di Malgieri

Il coronavirus sta piegando l’Europa. Con una violenza assassina ha messo in ginocchio intere nazioni, mietendo vittime come in una vera e propria guerra. Milioni di contagiati si domandano quale sarà il loro destino superata la malattia. Ma, come è ovvio che sia per chi lotta per la vita e per scongiurare danni purtroppo in taluni casi irreparabili, non si pone ancora il problema di che cosa sarà della nostra Europa passata la bufera della pandemia.

Dovrebbero essere i governi, preoccupati ed impegnati a reggere l’urto dell’esteso contagio, ad iniziare a fare i conti con quel che potrà essere il futuro di un continente presumibilmente distrutto nelle sue strutture materiali e gravemente lesionato nella tenuta morale. È normale che ci si preoccupi di finanziamenti e sostegni economici, meno normale che si scatenino guerricciole indecenti da parte dei cosiddetti Paesi “frugali” capeggiati dall’Olanda del premier Mark Rutte proprio sull’utilizzo delle risorse. Ma non sarebbe affatto fuori luogo se si approntasse un piano di ricostruzione a vari livelli per affrontare il “lascito” della pandemia. Insomma, se si prefigurasse quali potrebbero e dovessero essere gli interventi per mettere in piedi l’Europa posto che essa, nessuna nazione esclusa, ne uscirà assai malconcia dalla catastrofe che l’ha investita.

UN PIANO DI RICOSTRUZIONE

A tal fine un piano concordato tra i vari Paesi dell’Unione con il coinvolgimento anche di chi di essa non fa parte – l’Europa va dal Tago agli estremi confini della Russia, comprendendo anche le regioni caucasiche che sconfinano nelle propaggini dell’Asia centrale – avrebbe la funzione non solo di rimettersi in piedi, ma di reggere al prevedibile assalto economico-finanziario della Cina, responsabile della dilagante epidemia in tutto il pianeta, che certamente profitterà delle debolezza europea per legarla ai suoi destini e vincere la partita che sta magistralmente e cinicamente conducendo palesando intenti egemonici avallati purtroppo da governanti europei ipnotizzati dal seducente “mercatismo” degli spregiudicati mandarini comunisti.
Insomma, salvarsi dal coronavirus significa anche salvarsi da chi vorrebbe mettere le mani sul nostro continente come già ha fatto, in buona parte, su quello africano e si appresta a raggiungere lo stesso scopo in America Latina.

LE AMBIZIONI GEOPOLITICHE CINESI

Per quanto possa sembrare paradossale in questo momento legare la rinascita europea allo sbarramento delle ambizioni geopolitiche di Xi Jinping, è di tutta evidenza che debellato l’universale contagio, non possiamo restare a guardare il prevedibile saccheggio di sovranità, indipendenza e ricchezza che dalle profondità orientali verrà tentato, complice la oggettiva debolezza continentale, da chi possiede le risorse, i mezzi e la volontà per tentare di acquisire un mondo che fin dai tempi del Celeste Impero è stato visto non come un antagonista, ma piuttosto come una preda.

La Cina sarà più vicina, ma più rarefatta di certo sarà l’anima europea annichilita davanti al disfacimento, alla morte di centinaia di migliaia di suoi abitanti, alla debilitazione di milioni di giovani soprattutto dopo essere stata privata degli anziani e dei vecchi. Occorrerebbe un’autorità spirituale riconosciuta ed accettata per indirizzare gli europei verso il riconoscimento di un possibile destino. Ma guardandoci intorno non scorgiamo nulla che assomigli ad una figura del genere. Ci vorrebbe un Karol Wojtyla per lanciare una grande offensiva spirituale quale fondamento della possibile ricostruzione dell’Europa. Il Santo polacco ha lasciato moniti ed orientamenti che la Chiesa e la cristianità però di questi tempi non sono in grado di tradurre in azione efficace mirante a ricomporre le fratture morali di un continente frastornato non solo dal virus. E così oltre agli immani danni materiali avremo a che fare con le macerie che si addenseranno sulle nostre esistenze.

LA FEDE E LA SCIENZA

Il lavoro politico ed intellettuale in questo tempo di interrogativi sospesi dovrebbe avere il senso che hanno opere approntate per le grandi costruzioni. Piuttosto che guardare alla tragedia soltanto, è necessario immaginare un’impalcatura che possa reggere la nuova Europa. A tal fine fede e scienza non possono che camminare insieme lungo un sentiero tutto da esplorare. La prima nel rivolgersi alle profondità dell’anima europea richiamandola ai valori che deve recuperare; la seconda nell’individuare le condizioni e gli strumenti per ridare vita a comunità piegate, prossime al dissolvimento. La sintesi politica non può essere altra che il tentativo di armonizzare le differenze, mettendo da parte gli egoismi, riconoscendo i nemici comuni, dissodando il terreno flagellato dalla pandemia corporale e da quella morale, nell’unico modo immaginabile: risvegliando coscienze sopite e forse rassegnate, chiamandole ad una partecipazione che sia reale e non fittizia come avviene nelle democrazie dominanti con gli inganni del costituzionalismo al servizio delle ragioni delle oligarchie per cui tutto è lecito fino a quando è funzionale agli scopi dei ceti telecomandati dalle centrali globaliste.
Si approssimano tempi non solo difficili, ma impegnativi.

L’Europa finora è stata deturpata da una cattiva gestione burocratica, amministrativa e soprattutto finanziaria, luogo di compensazione di interessi estranei al popolo. A questo stato si aggiunge adesso la crisi psicologica derivante dalla malattia, una materia esplosiva che va maneggiata con cura.

Vanno cambiati i meccanismi, va prioritariamente rinnovato l’atteggiamento di singoli e popoli che la paura ha certamente modificato contagiando e la fibra morale.

UN CANTIERE SPIRITUALE E MATERIALE

È come se l’Europa fosse crollata per un misterioso incidente alla stessa maniera di Notre-Dame. Il cantiere nel tempio francese mostra i segni dell’alacre impegno a rimettere insieme con gli strumenti della modernità i pezzi del passato e dunque restituire alla sua storia quell’incanto di frammento europeo. Ben più complesso sarà il cantiere che tutte le nazioni dovranno approntare, con impalcature solide ed un disegno che regga al tempo e soddisfi la contemporaneità. Soltanto se questo accadrà potremo dire di aver sconfitto l’inatteso e brutale alieno, sbarrando nel contempo il passo a chi vorrebbe cavalcarlo per ridurre l’Europa ad un docile territorio di conquista.

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