Reuters riporta la notifica della Casa Bianca al Congresso per avviare la vendita di cinquanta F-35 agli Emirati Arabi. La resistenza di Israele sembra superata grazie alle importanti rassicurazioni sul “qualitative military edge”. La vera partita si giocherà al Congresso, e il voto del 3 novembre avrà un peso considerevole
La Casa Bianca ha notificato al Congresso di voler procedere con la vendita di 50 F-35 agli Emirati Arabi. L’indiscrezione di Reuters conferma la determinazione dell’amministrazione Usa a chiudere entro la fine dell’anno una prima intesa con Doha. Superata l’opposizione di Israele, il nodo sarà tutto nel voto del 3 novembre. In caso di vittoria di Joe Biden, non è detto che la convinzione sarà la stessa.
LA RICHIESTA
L’interessi emiratino per gli F-35 è noto da tempo. Il velivolo permetterebbe all’aeronautica nazionale un salto di qualità non indifferente, certificando altresì l’ambizione di voler incidere sugli equilibri regionali. Per gli Stati Uniti, oltre al valore commerciale non indifferente, la vendita permetterebbe il rafforzamento del legame con Abu Dhabi in chiave anti-iraniana. Confermerebbe inoltre il valore fortemente geopolitico del velivolo di quinta generazione, ormai vero strumento di politica estera con la cosiddetta “F-35 Diplomacy”. Inizialmente la pratica sarebbe stata gestita direttamente dal genero del presidente Jared Kushner e dal principe ereditario nonché ministro della Difesa Mohammed bin Zayed Al Nahyan.
LA POSIZIONE DI ISRAELE
Gli equilibri mediorientali sono però complicati. A opporsi all’ipotesi di vendita è stata da subito Israele. Nelle ultime settimane, l’opposizione si è però attenuata grazie agli Accordi di Abramo e, soprattutto, dalle importanti garanzie americane sulla preservazione del “qualitative military edge” israeliano, cioè del vantaggio tecnologico militare che il Paese vanta nella regione. Garanzie che sono arrivate a Benjamin Netanyahu direttamente da Mike Pompeo, e al ministro della Difesa e vice primo ministro Benny Gantz dal capo del Pentagono Mark Esper, entrambi impegnati in un’opera di rassicurazione che passa anche dal rafforzamento della collaborazione in campo militare.
E L’ARABIA SAUDITA?
La partita si potrebbe rivelare più difficile per l’ipotesi di vendita degli F-35 al Qatar, anch’essa riportata da Reuters a inizio ottobre. Israele potrebbe accettarla (anche in virtù di un possibile riavvicinamento tra Tel Aviv e Doha) con le stesse rassicurazioni sul fronte emiratino, ma per quello qatariota ci sarebbe da superare l’insofferenza dell’Arabia Saudita. Da almeno quattro anni la frattura tra i Paesi del Golfo si è tradotta in un sostanziale isolamento regionale del Qatar, accusato dalle altre monarchie (Arabia Saudita ed Egitto su tutti) di sostenere le ambizioni iraniane nella regione mediorientale e di offrire supporto ai Fratelli Musulmani e a gruppi integralisti come Hamas.
LA PRESSIONE SULL’IRAN
Sul fronte emiratino, tanto per Israele quanto per l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti hanno tra l’altro rispolverato la carta iraniana, la stessa su cui si basa buona parte della normalizzazione di rapporti tra Gerusalemme e Abu Dhabi (entrambe antagoniste di Teheran) e con cui Washington punta a convincere altri Paesi del Golfo a salire a bordo degli “Abraham Accords”. Gli Emirati, notava Mike Pompeo ad agosto in Israele, hanno “bisogno” di certi equipaggiamenti per risponde all’assertività dell’Iran.
IL VOTO
In entrambi i casi ci sarà comunque superare il necessario passaggio al Congresso per una vendita militare corposa che richiede tempi lunghi e su cui interverrà comunque anche l’esito del voto del prossimo 3 novembre. Tra l’altro, dal mondo politico americano sono in tanti a non fidarsi del Qatar per i legami con Hamas e Iran. Diversi esponenti democratici si sono già detti contrari a procedere a ulteriori vendite militari.