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Non solo Emirati Arabi. Perché (anche) il Qatar vuole l’F-35

Dopo gli Emirati Arabi anche il Qatar vuole l’F-35, il velivolo americano di quinta generazione. Doha avrebbe già presentato richiesta formale a Washington, almeno stando alle indiscrezioni di Reuters che riporta tre diverse fonti vicine al dossier tra dipartimento di Stato e diplomazia Usa. La fornitura non si preannuncia facile, vista la necessaria approvazione del Congresso americano e le prevedibili resistenze di Arabia Saudita e Israele, che comunque presenta al momento diversi interessi convergenti con Doha. Intanto il Joint Strike Fighter si conferma strumento prediletto di Washington per il rafforzamento delle alleanze, nonché sistema ambito dai Paesi che vogliono essere più protagonisti sullo scenario internazionale.

INTERESSI INCROCIATI

E infatti, se per gli Stati Uniti vendere l’F-35 al Qatar significherebbe rafforzare il sistema di pressione sull’Iran, per Doha vorrebbe dire dare vigore alle ambizioni crescenti su varie questioni mediorientali. Poche settimane fa, ricevendo a Washington il ministro degli Esteri Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, il segretario di Stato Mike Pompeo aveva spiegato l’intenzione di rafforzare i rapporti per rendere il Qatar uno dei maggiori alleati non-Nato degli Stati Uniti. A complicare tale obiettivo potrebbe però essere il necessario passaggio al Congresso per una vendita militare corposa che richiede tempi lunghi e su cui interverrà comunque anche l’esito del voto del prossimo 3 novembre. Tra l’altro, dal mondo politico americano sono in tanti a non fidarsi del Qatar per i legami con Hamas e Iran.

TRA ISRAELE…

Ma le resistenze arriveranno probabilmente anche dai principali alleati di Washington nell’area: Israele e Arabia Saudita. Per Tel Aviv è prevedibile un’opposizione simile a quella che ha riguardato l’ipotesi di vendita di F-35 agli Emirati Arabi, smussata e ammorbidita solo dagli Accordi di Abramo e, soprattutto, dalle importanti garanzie americane sulla preservazione del “qualitative military edge” israeliano, cioè del vantaggio tecnologico militare che il Paese vanta nella regione. Garanzie che sono arrivate a Benjamin Netanyahu direttamente da Mike Pompeo, e al ministro della Difesa e vice primo ministro Benny Gantz dal capo del Pentagono Mark Esper, chiamati ora allo stesso lavoro di rassicurazione dell’alleato. Parallelamente, non è da escludere un riavvicinamento tra Tel Aviv e Doha. Formiche.net ha raccontato dei diversi piani di contatto (compresa la tregua tra Israele e Hamas) e di una convergenza di interessi che pone il Qatar tra i Paesi in lizza per possibile adesione agli Accordi di Abramo.

… E ARABIA SAUDITA

A ostacolare la vendita potrebbe però essere anche l’Arabia Saudita. Riad non ha problemi sulla fornitura emiratina, ma potrebbe opporsi a quella qatariota. Da almeno quattro anni la frattura tra i Paesi del Golfo si è tradotta in un sostanziale isolamento regionale del Qatar, accusato dalle altre monarchie (insieme all’Egitto) di sostenere le ambizioni iraniane nella regione mediorientale e di offrire supporto ai Fratelli Musulmani e a gruppi integralisti come Hamas. Come notava su queste colonne l’ambasciatore Giampiero Massolo (presidente dell’Ispi e di Fincantieri), Doha è tra i protagonisti del confronto interno all’Islam sunnita, che “riguarda essenzialmente il futuro dell’Islam politico di cui la Turchia, sostenuta dal Qatar, si vuole rendere protagonista (e protettrice) e a cui invece si oppongono con determinazione Arabia Saudita ed Emirati Arabi”.

IL RUOLO DI DOHA

L’eventuale intesa per gli F-35 permetterebbe al Qatar di dare spinta all’uscita dall’isolamento, già evidente nelle relazioni con i Paesi europei (Italia compresa), e da Washington potrebbe essere letta come un distacco di Doha da Teheran. L’Emirato gioca un ruolo importante in Libia (insieme alla Turchia è il principale sponsor del Governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj) e in altre partite che interessano gli Usa. Doha è il centro dei negoziati per la pacificazione dell’Afghanistan, un tema caro all’amministrazione targata Donald Trump anche nel contesto dell’attuale campagna elettorale.

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