“Il fatto che siamo arrivati al 18 ottobre con il Jcpoa ancora in piedi, permettendo di dire all’Iran che è stato raggiunto l’obiettivo della fine dell’embargo Onu sulle armi è stata una grande vittoria diplomatica per Teheran”, spiega Annalisa Perteghella, Iran Desk dell’Ispi, sentita da Formiche.net per commentare la fine delle misure sanzionatorie che le Nazioni Unite hanno applicato contro la Repubblica islamica a causa della corsa nucleare. Sanzioni che l’accordo del 2015, il Jcpoa appunto, doveva eliminare dopo cinque anni di rispetto delle clausole da parte iraniana.
La comunicazione di Teheran parte da un comunicato del ministro degli Esteri, Javad Zarif, che parla da figura chiave dell’intesa di cinque anni fa e ricorda come il suo Paese, nonostante le pressioni americane (apice: l’uscita unilaterale dell’amministrazione Trump dal Jcpoa), abbia resistito. Resilienza che diventa proattiva quando l’Iran ricorda che Washington ha provato a muovere attività diplomatica all’interno del Palazzo di Vetro prima della scadenza di domenica: tentativo di prorogare l’embargo militare che però non è riuscito ed è finito con la vittoria della resistenza iraniana, come dicono a Teheran.
Secondo Perteghella, comunque, al di là dello spin politico e delle propaganda con cui l’Iran descrive la situazione “non cambia granché: sicuramente l’Iran non avrà accesso alle armi americane, chiaro, e nemmeno europee visto che le sanzioni dell’Ue restano in vigore (fino al 2023). Dunque i due attori che potrebbero vendere armi all’Iran sono Cina e Russia”. Pechino e Mosca sono Paesi che hanno già iniziato di fatto una cooperazione, anche militare, con Teheran e l’analista italiana spiega che in futuro si potrebbero vedere saldature di questo asse che ha una netta funzione anti-americana.
“Però va ricordato – continua – che la storia ci insegna che sebbene in passato si siano conclusi con la Russia contratti militari, per esempio la vendita degli S300 (sistemi terra-aria, ndr), ci sono voluti anni prima della consegna (nel caso degli S-300, dieci anni, ndr). Perché Mosca non condivide gli stessi obiettivi con l’Iran, e non lo vede come un alleato, per questo usa una certa cautela. Magari si darà un via libera a forniture, ma la consegna potrebbe slittare. Anche perché economicamente la Repubblica islamica non è certo messa benissimo: i pagamenti sono un problema. E anche perché con la crisi economica sofferta dall’Iran la popolazione di certo non vedrebbe bene l’acquisto di nuove armi”.
Aspetto quest’ultimo da non sottovalutare, perché nei mesi scorsi la leadership iraniana ha già subito gli effetti di proteste (sebbene pesantemente soppresse). “Va anche detto – aggiunge Perteghella – che l’Iran durante questi anni di embargo ha creato quella che loro chiamano ‘difesa-avanzata’, ossia l’uso dei proxy nella regione che ha sostituito l’acquisto di armi convenzionali. Una strategia asimmetrica che è servita a colmare l’inferiorità con i vicini (nemici, ndr) dell’area”.
È il gioco d’influenza che Teheran ha spinto attraverso le milizie controllate che si sono incuneate all’interno di alcuni Stati come Libano o Iraq scalando la sfera del potere – gruppi politici armati con la produzione interna dell’Iran. Una diffusione “malevola”, come la definisce Washington, che è costantemente attaccata sia dagli americani che dagli israeliani. Tutti aspetti che sommati rendono l’eliminazione dell’embargo sulle armi una questione dal valore più mediatico che sostanziale.