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Cosa c’è dietro l’allineamento franco-tedesco contro la Russia su Navalny

Con un comunicato congiunto firmato dai rispettivi ministri degli Esteri, Heiko Maas e Jean-Yves Le Drian, Germania e Francia hanno attribuito direttamente alla Russia le responsabilità per il tentato assassinio di Alexei Navalny – il più importante (almeno mediaticamente) degli oppositori del sistema di potere che Vladimir Putin s’è costruito attorno in vent’anni di presa su Mosca, avvelenato al rientro da un tour elettorale in Siberia. Usato su di lui un agente nervino inizialmente inquadrato come il famigerato Novichok, veleno d’epoca sovietica, riconsiderato dai successivi approfondimenti come una formula nuova – che i servizi segreti russi avrebbero creato, tra l’altro in violazione alle regole internazionali dettate dall’Organizzazione per il controllo delle armi chimiche.

La condanna congiunta di francesi e tedeschi conta eccome nel panorama intra-europeo. Dimostra innanzitutto che Berlino – dove la cancelliera Angela Merkel s’è presa a cuore quasi a livello personale le sorti dell’attivista russo, curato nell’ospedale Charité della capitale tedesca – sono ancora in grado di influenzare la politica francese e l’Ue. Già, perché Emmanuel Macron è il fautore di una posizione di apertura nei confronti di Mosca, da recuperare secondo un “dialogo strategico” più volte ricordato in questi anni che però si scontra contro il muro putiniano. Parigi, a differenza di Berlino (chiamata in causa direttamente, con Navalny che ormai dice che la Germania è la sua seconda casa), non ha reagito con circospezione all’avvelenamento – posizione su cui i tedeschi hanno storto il naso.

Esitazione legata alla volontà di non guastare i rapporti intentati con Mosca. La dichiarazione congiunta, dunque, conta perché dimostra come per i francesi le iniziative in solitaria si scontrino con certi limiti oggettivi. Per esempio quelli incontrati da Macron nel tour baltico, dove i vari Paesi visitati hanno aperto al francese chiedendo però chiarezza sulle relazioni con la Russia. C’è un gioco strategico di fondo. La prova di forza tedesca serve per due ragioni. La prima riguarda la Francia, che sta cercando di incunearsi nella sfera d’influenza est-europea che per Berlino è prioritaria ed esclusiva. Da condividere al più con la Russia. La seconda ragione riguarda proprio le relazioni con Mosca.

La volontà tedesca di incolpare la Federazione russa – leggasi Putin – per quanto accaduto a Navalny ha un limite o forse un obiettivo. Serve a mostrare fermezza contro il sistema di potere del Cremlino, mentre si prende tempo sul futuro dell’unico elemento che ha reali potenzialità incisive contro Putin: il blocco del Nord Stream 2. Il raddoppiamento del gasdotto che collega la Russia alla Germania attraverso il Baltico è ormai a pochi chilometri dall’ultimazione, e se il governo tedesco decidesse (non senza sofferenze) di bloccare tutto come rappresaglia sarebbe una mossa davvero dura. Che però portebbe Berlino a rinunciare a un ruolo strategico di sbocco europeo del gas russo – da abbinare alla possibilità di rigassificare il Gnl inviato dagli shale americani. La Germania diventerebbe un hub energetico, ed ecco la sofferenza: rinunciare a questo potenziale per punire Putin?

È qui invece che l’allineamento francese diventa anche funzionale: Parigi, che si accoda alla posizione tedesca, potrebbe sfruttare l’apparente arretramento per chiedere a Berlino di spingere l’all-in sul Nord Stream. Decisione su cui guadagnerebbe in competitività, quanto meno perché limiterebbe la Germania-energetica. Una questione intra-europea, che si incastra nei rapporti con la Russia e descrive come questi siano un elemento di separazione tra i Paesi membri. Vedere per credere a questo punto la decisione polacca di multare pesantemente Gazprom, a cui Varsavia ha inviato una sanzione da 6,5 miliardi di euro per non aver chiesto l’approvazione della Polonia nella costruzione del Nord Stream 2.

Notizia che appunto si specchia sulla situazione sopra descritta. L’anti-trust polacco, l’UOKiK, ritiene che il raddoppiamento del gasdotto rischia di mettere in difficoltà gli approvvigionamenti del Paese facendo lievitare i prezzi del gas. La mossa di Varsavia è del tutto geopolitica – anti-russa. La Polonia, infatti, una volta conclusa la Baltic Pipe che taglierà il Mare del Nord e la connetterà alla Norvegia (il tubo sarà posato dall’italiana Saipem, tra l’altro) riuscirà a non dipendere per la forniture dalla Russia, forte anche dell’acquisto di Gnl da Stati Uniti e Qatar – che nel Paese hanno finanziato rigassificatori. Dunque poco c’entra il gas con le richieste dell’UOKiK.

Ed ecco dunque che la questione raddoppia la sua profondità geopolitica toccando entrambi i lati del Nord Stream 2: da un lato Varsavia mira a colpire Mosca, complicando l’ultimazione del Nord Stream 2, dall’altro tende a intricare la matassa per la Germania – allontanandola dall’obiettivo di diventare un hub energetico (puntando magari a sostituirsi in questa volontà ai tedeschi). Non a caso a finire sotto la scure delle multe polacche ci sono anche la OMV austriaca e la Engie francese, entrambe parte del consorzio costruttivo della pipeline russo-tedesca (colpite rispettivamente con 88 e 76 milioni di euro di sanzioni).

Dimostrazione, come detto, di quanto si muova la tettonica che divide i Paesi europei sul rapporto con la Russia, dove in tanti vogliono dettare la linea anche (soprattutto?) per far valere i propri interessi di questa nuova “Europa geopolitica” annunciata dalla Commissione, sposata dalla Germania e ambita dalla Francia.



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