Ogni fenomeno sociale, ogni grande cambiamento globale, ha il suo anno di origine. E il 2020 sarà ricordato dai posteri come l’anno dello smart working. Il cosiddetto lavoro agile, svolto da remoto, è ormai parte integrante della vita quotidiana. Ben presto ne sarà l’essenza, viste le scelte di tante aziende ormai decise a mettere (l’ultimo caso è Generali) gran parte del proprio personale in condizione di lavorare da casa. Bene, anzi no. I cambiamenti vanno governati e l’Italia, dice a Formiche.net Michel Martone, saggista, giuslavorista ed ex viceministro dell’Economia, non si è ancora posta il problema.
Martone è in questi giorni nelle librerie con il saggio “Il lavoro da remoto, per una riforma dello smart working oltre l’emergenza” (La Tribuna), arricchito dai contributi di 27 firme del mondo economico, accademico e del lavoro. Un testo che vuole essere un vademecum per la politica affinché appronti, quanto prima, una legge organica sullo smart working.
Martone, il 2020 sta allo smart working come il 1968 sta alla contestazione giovanile. Il mondo del lavoro è cambiato per sempre?
Nel breve volgere di un mese il lavoro da remoto si è imposto a livello globale come l’unica modalità di lavoro possibile in tempi di pandemia. Una vera e propria rivoluzione che ha fatto crollare le antiche distinzioni tra lavoro e vita privata mettendo in discussione, con lo spazio e il tempo di lavoro, persino il nostro stile di vita. Il problema è che ora milioni di lavoratori, nel silenzio legislativo, cominciano a domandarsi con sempre maggiore preoccupazione se, terminata l’emergenza, dovranno continuare a lavorare da remoto o rientrare in sede e a quali condizioni.
Allora lo smart working è il futuro ormai?
Sicuramente è una delle modalità del lavoro del futuro. Ma attenzione, parliamo di un nuovo modo di lavorare ma non certo della panacea a tutti i mali. L’unica certezza è che è una straordinaria opportunità di crescita ed evoluzione per il Paese. Basta considerare il fatto che grazie allo smart working c’è stata una repentina alfabetizzazione digitale dei lavoratori, che oggi non temono più il tele-lavoro.
C’è un però…
Il problema è che questo fenomeno è ancora oggi regolato dalla legge che era stata immaginata per una modalità di svolgimento della prestazione parziale e straordinaria, e non certo totalizzante, come invece sta accadendo in questi mesi. Oggi c’è incertezza e confusione perché manca una normativa organica e strutturata.
Dunque Martone, serve una legge…
Certo che serve. Una legge che disciplini innanzitutto il rientro sul lavoro di milioni di persone che, proprio in questi giorni, a causa della seconda ondata, stanno tornando allo smart working. In qualche modo serve un quadro di riferimento stabile in grado di razionalizzare le precedenti normative. Si potrebbe anche coinvolgere la contrattazione collettiva, perché no.
Si dice che lavorare da remoto aumenti la produttività. Lei è d’accordo?
Molti studi affermano che è proprio così e se noi pensiamo a come abbiamo lavorato in questi mesi, direi che è proprio così. Però non è un qualcosa di assoluto, varia da settore a settore.
Cambiamo argomento. A inizio anno potrebbe cadere il blocco ai licenziamenti e molte imprese potrebbero mettere in atto delle ristrutturazioni. Una bomba sociale?
Più che una bomba parlerei di bolla. Una bolla occupazionale dietro al blocco: le imprese non potendo licenziare hanno perso quote di mercato. Risultato, oggi abbiamo migliaia di persone in una condizione finanziata da ammortizzatori sociali, come la Cassa integrazione. Ma tutto questo esploderà quando il muro dei licenziamenti cadrà.
E non c’è un modo per evitare che questa bolla scoppi?
Sì. Occorre predisporre subito un nuovo piano di ammortizzatori e aiuti per andare incontro alle persone che perderanno il lavoro. Il problema è che una simile misura ha un costo e non indifferente.
Scusi ma non ne usciamo. Se non si hanno i soldi per fare, come spesso accaduto in Italia, si fa a debito. Non una grande idea, sbaglio?
E infatti io ho sempre sostenuto che nei mesi precedenti bisognava dare la possibilità alle aziende di affrontare la questione occupazionale, in altre parole permettere alle imprese di fare quelle ristrutturazioni di cui c’era bisogno. E che invece, causa blocco dei licenziamenti, non sono state fatte. Di sicuro, e torno per un attimo il punto di partenza, lo smart working potrebbe essere un modo per mantenere i livelli occupazionali.
Parliamo di pensioni. Con l’esaurimento naturale di Quota 100, si apre la prospettiva di uno scalone di sette anni per chi vorrà lasciare il lavoro. Che si fa?
Il problema è radicale e drammatico e per giunta non lo si è affrontato per tempo. Ora c’è un problema di risorse, o si deroga alla legge Fornero o si fa la riforma delle pensioni. Onestamente vista la difficoltà del momento e le poche risorse vedo difficile una riforma del sistema previdenziale.
Allora la prima…
Se riforma deve essere, occorre non abbassare l’età come ha fatto Quota 100, che ha dato vantaggi a quei pochi che avevano i requisiti, semmai occorre intervenire sui lavori usuranti e sì, aumentare l’età pensionabile.
Ci sarà davvero un nuovo lockdown?
Mi auguro di no, gli effetti sarebbero devastanti per l’economia che già oggi è in enorme difficoltà.