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Fermare le armi (sul serio) nel Nagorno-Karabah. L’appello del Papa

“Ho apprezzato che tra Armenia e Azerbaigian sia stato concordato un cessate il fuoco per motivi umanitari, in vista del raggiungimento di un sostanziale accordo di pace”, ha detto Papa Francesco all’Angelus, ricordando che la tregua si sta dimostrando “troppo fragile” ha incoraggiato “a riprenderla, ed esprimo partecipazione al dolore per la perdita di vite umane, per le sofferenze patite, nonché per la distruzione di abitazioni e luoghi di culto”. Posizione che ha anche valore geopolitico, con la Chiesa naturalmente più vicina ai cattolici armeni (vedere la condanna del Pontefice sul genocidio armeno per mano turca) che continuano a denunciare l’aggressione azera su vasta scala (e contro obiettivi non selezionati), sebbene anche nella notte siano circolate immagini di bombardamenti tra i palazzi di Ganja — seconda città dell’Azerbaigian, al di fuori dell’area dell’Artsakh, come gli armeni chiamano il Nagorno-Karabah.

Baku “sta cercando di rispettare il cessate il fuoco mentre le forze armate armene stanno attaccando”, dice il governo azero che sottolinea che a Ganja ci sarebbero diverse vittime civili (condizionale d’obbligo perché parte dello scontro si combatte sul teatro informativo, rilanciato con l’aiuto di media turchi e russi, coinvolti con azeri e armeni; fonti solitamente non solide o prive di diffusioni alterare a fini propagandistici). La tregua, mediata attraverso il ministero degli Esteri russo, s’era già effettivamente rotta ieri, a poche ore dal teorico inizio del cessare fuoco. Nella notte ci sono stati poi gli attacchi su Ganja da parte degli armeni e su Stepanakert, capitale della regione contesa, da parte degli azeri (dove da giorni vengono colpite anche le chiese cristiane, uno dei simboli della continuità etnico-culturali tra Armenia e Artsakh, come ricordato dal primo ministro armeno, Nikol Pachinian, in un’intervista a Repubblica).

Secondo il responsabile dei diritti umani della repubblica autoproclamata del Nagorno-Karabakh, i bombardamenti iniziati il 27 settembre hanno costretto metà degli abitanti della regione contesa a lasciare le proprie case. “Non è chiaro quante persone abbiano perso finora la vita nel conflitto. L’Azerbaijian non pubblica bilanci dei caduti tra le file delle sue forze armate, mentre la repubblica separatista del Nagorno-Karabakh denuncia la morte di 280 dei suoi combattenti. Ma ci sono anche molte vittime tra i civili da entrambe le parti”, ha spiegato l’inviato di Rsi — che come tutti i giornalisti internazionali lavora i suoi reportage grazie all’Armenia, perché l’Azerbaigian ha bloccato l’accesso a tutti i giornalisti stranieri escluso ai turchi (che aiutano Baku bello storytelling sul conflitto).

Il conflitto rischia di continuare perché nonostante la Russia sia alleata di Erevan e abbia cercato di ospitare la mediazione, sembra interessata a mantenere una posizione equidistante — come ha scritto il direttore dell’Ecfr Wider Europe, Nicu Popescu. Un atteggiamento moderato con cui il Cremlino tiene al minimo il coinvolgimento, sul Nagorno-Karabakh così come sulla crisi kirghisa e più o meno sulla Bielorussia. Tutto dovuto all’evitare l’attivazione degli accordi con cui Mosca è legata a quesi paesi, che potrebbero portarla a un impegno militare. Altrettanto la Turchia sembra interessata a sfruttare questo traccheggiare interessato russo per continuare a spingere Baku e approfondirne la propria sfera d’intervento.

(Foto: imagoeconomica, l’incontro a tra il Papa e l’ex primo ministro armeno Serzh Sargsyan)



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